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Lectio divina – IV Domenica di Quaresima – Anno B

Inserita il: 12/03/2021

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Gv 3,14-21
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”

E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna. Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Perché chiunque fa cose malvagie odia la luce e non viene alla luce, affinché le sue opere non siano scoperte; ma chi mette in pratica la verità viene alla luce, affinché le sue opere siano manifestate, perché sono fatte in Dio.

CONTESTO E TESTO
La liturgia della IV domenica di Quaresima è segnata dalla gioia, perché siamo nella domenica “laetare”, in prossimità della Pasqua, ed il colore liturgico non è viola ma rosaceo. La gioia nasce dal contemplare la gratuità del dono d’amore di Gesù, che offre la sua vita per la nostra salvezza. 
 
Il brano del Vangelo tratto dal capitolo 3º di Giovanni ci presenta l’incontro di Gesù con Nicodemo, un intellettuale, un credente sincero che cerca in Gesù la verità, la salvezza. Solo l’evangelista Giovanni ci parla di questo incontro, un dialogo che illumina anche la nostra fede. Nel rispondere alle sue richieste Gesù parte da un segno dell’AT il serpente di bronzo innalzato da Mosè, per indicare la salvezza. Come il popolo non poteva liberarsi dai serpenti se non contemplando quel segno, così anche per noi c’è un solo segno di salvezza, che è necessario guardare: il Cristo. Egli innalzato perché annientato, in questo salva coloro che lo guardano, cioè credono in Lui. 

APPROFONDIMENTO DEL TESTO
Nel dialogo di Gesù con Nicodemo se, da una parte Gesù afferma che in quanto Figlio dell’uomo le sue origini sono celesti e quindi ha il potere di salire in cielo e scendere da esso, dall’altra Egli rivela che la sua ascensione avverrà attraverso l’innalzamento perché così è scritto. Gesù porta un’esplicita testimonianza dalla Legge e un’implicita dalla profezia: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. (Nm 21,8s; Is 52,13). Ambedue le testimonianze sono accomunate dal verbo innalzare. Il Figlio dell’uomo deve essere innalzato come Mosè innalzò il serpente nel deserto. Egli è il Servo sofferente del quale il Signore proclama: «Ecco il mio Servo avrà successo, sarà innalzato, onorato, esaltato grandemente» (Is 52,13). 
 
Il suo innalzamento rimane visibile nelle stigmate della sua Croce, Egli è per sempre l’Innalzato. E in quanto è l’Innalzato Egli è onorato ed esaltato grandemente. Innalzato, Egli parlerà a noi delle realtà celesti, anzi il suo stesso innalzamento è la realtà celeste cui bisogna credere. Egli-Innalzato-sulla-Croce è la rivelazione suprema di Dio, è il segno celeste, è il manifestarsi del mistero nascosto da secoli in Dio. Credere passa dunque attraverso di Lui in quanto l’Innalzato-sulla Croce. Gesù rivela che il Figlio dell’uomo è il Figlio unigenito di Dio. Questi è colui nel quale Iddio ha fatto il mondo e lo ha amato. Come per mezzo del suo Verbo Egli ha fatto il mondo così in Lui lo ha amato: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Per l’intimo rapporto, che esiste tra il Figlio e il mondo, il Padre ha amato il mondo e ha dato il suo Figlio Unigenito. Questi è, in rapporto al mondo, il Figlio dell’uomo come in rapporto al Padre è il Figlio Unigenito.
 
“Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Dicendo il Figlio, lo distingue da Mosè e quindi dalla Legge. Il Figlio non appartiene all’economia della Legge come vi appartengono Mosè e i Profeti. Questi sono stati inviati per giudicare il mondo perché la Legge è stata data mediante Mosé (1,17. Ma il Figlio ha pronunciato questo giudizio che non è finalizzato alla condanna ma alla salvezza. Dice infatti: ma perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui. Il mondo se si riconosce peccatore e crede in Lui, l’Innalzato, sarà salvato. Chi accoglie il giudizio della Legge e crede nel Figlio è salvato. Quando Egli tornerà, il giudizio, da sempre pronunciato dalla Parola, sarà definitivo e renderà tale la scelta che ciascuno ha fatto. Abbiamo così, con la sua venuta, questo meraviglioso fatto: la Parola, da giudicante nella Legge e nella Profezia, diviene salvifica nell’Evangelo. La salvezza si estende a tutti senza distinzioni o preferenze ma essa diviene efficace solo in chi crede in Lui. 
 
Chi crede in Lui non è giudicato, cessa su di lui il giudizio pronunciato dalla Parola di Dio mediante la Legge e la Profezia. Chi non crede già è condannato perché in lui il giudizio pronunciato dalla Parola resta efficace. Egli continua ad essere condannato alla polvere senza avere in sé la speranza di risorgere per la vita. Non ha in sé lo Spirito e, quando egli ode la Parola di Dio, questa risuona per lui di condanna. Egli cerca di spegnere in sé le accuse della coscienza giustificando il suo peccato e condannando la Legge e così rende più grave la sua stessa condanna perché entra nel vortice della disperazione. Egli è condannato perché non ha creduto nel nome dell’Unigenito Figlio di Dio. Egli non ha creduto nella rivelazione del Nome. Egli ha rifiutato in Gesù la rivelazione del Nome che gli è proprio: il Figlio unigenito di Dio.
 
E il giudizio è questo. Il termine ci rivela che il giudizio è già iniziato e sta operando. Ora esso opera per fare misericordia e donare la salvezza. Infatti la luce è venuta nel mondo; venendo, essa illumina ogni uomo e lo pone di fronte alla scelta. Il primo e benefico effetto, che la luce compie, è quello di dare a tutti la possibilità di vedere la luce, come è scritto: Alla tua luce vediamo la luce (Sal 36,10), e di vedere se stessi in questa luce, accettandone il giudizio. Il rifiuto della luce è atto irrazionale perché è volontario rifiuto da parte di chi non accetta il giudizio su se stesso, come subito dice: ma hanno amato gli uomini più le tenebre che la luce. Questo è l’assurdo: rifiutare di essere illuminati e voler restare nell’ignoranza della verità per poter continuare a fare il male: erano infatti cattive le loro opere. Chiunque infatti fa il male, odia la luce. Giustamente si usa il presente a indicare che egli lo sta facendo o ha intenzione di continuare a farlo. Sedotto dal piacere del male, egli odia la luce perché lo obbliga ad abbandonare il male; perciò non viene alla luce, ma fugge lontano da essa. Non vuole infatti che le sue opere vengano riprovate. La chiusura all’Evangelo è indice della preferenza che si ha per le proprie tenebre. In esse la mente sembra placarsi in una certa ignoranza e attenua i rimproveri della coscienza con la convinzione che il male non è tale perché tutti lo compiono. 
 
Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio. Fare la verità è accettare il giudizio di Dio che si rivela nel Figlio. Anche qui è usato il presente perché sempre bisogna fare la verità, sempre bisogna accettare il giudizio della Parola e conformarsi ad esso. Chi accoglie il giudizio fa la verità e viene alla luce perché siano manifestate le sue opere. Quali opere? Quelle della conversione, come mirabilmente insegna s. Agostino: «Quando cominci a dispiacerti di ciò che hai fatto, allora cominciano le tue opere buone, perché riprovi le tue opere cattive» (XII, 13). Queste non possono essere in noi, perché in noi non può esserci il bene, ma sono fatte in Dio. Sono fatte in Dio perché da Lui e in Lui è la grazia e sono fatte da noi perché nostra è la scelta.

 




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