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Lectio divina – Domenica delle Palme – Anno B

Inserita il: 26/03/2021

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Mc 14,1 – 15,47
Passione di N.S. Gesù Cristo secondo Marco

 
CONTESTO E TESTO
La liturgia della Domenica delle Palme ha un carattere introduttivo: i testi di questa settimana cercano di farci penetrare in profondità l’evento della Passione e della Resurrezione del Signore, che celebreremo con particolare solennità nel Triduo Pasquale. Si apre con la commemorazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme e la benedizione delle palme e dei rami di ulivo, con i quali acclamare il Signore. Si ascolta il racconto dell’ingresso tratto, questa volta dal Vangelo di Marco. 
 
Il racconto della passione costituisce il dato letterario e catechetico più antico. Tutta la costruzione catechetica di Marco si è sviluppata a partire dal nucleo originario: il racconto della passione. Queste pagine, anche se le leggiamo alla fine, precedono tutte le altre, sono al centro di tutta la costruzione. Il vangelo secondo Marco è il più antico tra i Vangeli, e il racconto della passione è così il punto di partenza attorno al quale si viene costituendo non solo questo vangelo, ma tutta la letteratura evangelica che poi fiorirà gli altri scritti: Luca, Matteo, Giovanni.
 
La passione di Gesù secondo Marco può essere suddivisa in tre grandi parti: la prima racconta gli ultimi momenti di Gesù con i suoi discepoli (14, 1-52); la seconda il processo, suddiviso tra istruttoria giudaica e processo romano (14,53-15,23) e la terza la morte e la sepoltura di Gesù (15, 24-47). Il racconto della crocifissione con la morte del condannato Gesù contiene la scena vertice di tutta la narrazione: la sequenza della divisione delle vesti, la crocifissione di altri due condannati, lo scherno da parte dei passanti e dei capi religiosi, sacerdoti e scribi, sono i preliminari della scena centrale della morte di Gesù. All’inizio abbiamo quel grido doloroso di chi sperimenta persino l’abbandono di Dio e alla fine abbiamo la scena del velo del tempio che si squarcia. Si rivela il nuovo volto di Dio, non più nella sacralità di un tempio ma nella profanazione di un patibolo. Il limite della sacralità viene infranto perché in Gesù, Dio non abita più in un santuario recintato ma nel volto di un Crocifisso. Il centurione pagano che riconosce Gesù come Figlio di Dio, apre la contemplazione del mistero a tutta l’umanità: uomini e donne, ebrei e pagani. Soltanto un escluso dalla rivelazione dell’AT è in grado di riconoscere in quel Crocifisso il Figlio di Dio. I discepoli sono assenti ma le donne sono presenti perché sempre inclini ad accogliere fatti di vita e di morte: sono “discepole” non di nome ma di fatto, perché pronte a servire e a seguire.

APPROFONDIMENTO DEL TESTO
Betania, tre quadri: il primo (14,1-2); il quadro centrale – più ampio (vv. 3-9) con l’episodio di Betania; terzo quadro (vv. 10-11): «Mancavano intanto due giorni alla Pasqua e agli Azzimi e i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di impadronirsi di lui con inganno, per ucciderlo. Dicevano infatti: “Non durante la festa, perché non succeda un tumulto di popolo”». A due giorni dalla Pasqua già le autorità di Gerusalemme hanno preso la loro decisione: Gesù dev’essere preso con inganno per essere ucciso. La decisione è stata predisposta con precisione: tutto dovrà avvenire in modo da evitare tumulti di popolo. «Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai sommi sacerdoti, per consegnare loro Gesù». Dal complotto si giunge al tradimento: consegnare Gesù. «Quelli all’udirlo si rallegrarono e promisero di dargli denaro. Ed egli cercava l’occasione opportuna per consegnarlo». Adesso la preoccupazione dominante non è più quella di evitare tumulti di popolo, ma quella di trovare l’occasione opportuna perché Gesù sia consegnato. Hanno pattuito tra di loro quale somma di denaro deve essere versata. I due quadri, primo e terzo, che fanno da cornice a questa prima sezione, ci hanno messo al corrente di alcune notizie: la morte di Gesù è stata decisa ma a quanto ammonta il compenso che verrà pagato a Giuda. «Promisero di dargli denaro». Nel vangelo secondo Marco non è precisata l’entità della somma, come invece avviene nel vangelo secondo Matteo. Si parla di una promessa. Quanto vale? Quanto vale la vita di un uomo condannato a morte? Quanto vale la vita di un uomo che muore? Nel quadro centrale siamo a Betania. «Gesù si trovava a Betania nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa...». È un momento di festa. È una festa rallegrata dalla presenza di Gesù in mezzo ad altri commensali ed amici, nella casa di Simone il lebbroso. 
 
Compare una donna, anonima, silenziosa. Non dirà nulla, né adesso, né poi; non apre bocca, compie un gesto. «Giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul suo capo». Questo gesto immediatamente viene notato e duramente rimproverato. «Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro: “Perché tutto questo spreco di olio profumato? Si poteva benissimo vendere tutto questo olio a più di trecento denari e darli ai poveri!». Trecento denari è una somma ingente. Un denaro è il salario giornaliero di un operaio, trecento denari sono più o meno quello che un uomo guadagna in un anno. Non è poco. Quello che un uomo guadagna in un anno è sprecato in un momento solo: un anno di vita finito in un rivoletto di unguento che si disperde, in una nuvola di profumo che dilaga nell’ambiente. «Erano infuriati contro di lei». Si poteva benissimo vendere quest’olio per trecento denari e darli ai poveri. Non è soltanto uno spreco di denaro; l’unguento è stato riportato a un dato più che mai significativo per esprimere il valore della vita umana: i poveri! Il lavoro di un uomo per un anno intero. Uno spreco, uno spreco di vita, una vita sprecata. A questo punto prende la parola Gesù: «Allora Gesù disse: “Lasciatela stare; perché le date fastidio? Ella ha compiuto verso di me un’opera buona». La donna tace, non si difende; è Gesù che parla per lei e di lei. Solo Gesù può spiegare quello che quella donna ha compiuto. Lei ha compiuto quel gesto quasi senza averci pensato; non saprebbe rispondere a quelli che la stanno accusando di sprecare il necessario per i poveri. “Ha compiuto verso di me un’opera buona”. Il testo greco dice: ergon kalòn, un’opera bella.
 
Nel contesto di quella serata festosa tra amici a Betania solo Gesù sa che sta per morire. Lo ha detto a più riprese ai discepoli e nessuno ha voluto ascoltarlo, nessuno ha dimostrato di prenderlo sul serio. A Betania però c’è un’altra persona che sa: la donna che ha compiuto quel gesto sa qualcosa di Gesù che gli altri non sanno; ha letto più in profondità degli altri il significato degli eventi in corso. Quella donna sa che Gesù va incontro alla morte. Gesù parla per lei: ha compiuto un’opera bella nei suoi confronti. Questa donna è l’unica fra tutti che ha saputo apprezzare la bellezza dell’evento in corso, la bellezza di quella morte verso cui Gesù è ormai orientato senza alternative. 
 
Un uomo che muore, come Gesù, quanto vale? Vale un atto d’amore. Gesù aggiunge: «In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fatto». Dovunque sarà annunciato l’evangelo si parlerà di lei, di coloro che compiono atti d’amore. È una promessa autorevolissima. L’evangelo sarà annunciato nello scorrere di eventi che manifesteranno la presenza strabiliante di una fedeltà nell’amore gratuita e intransigente. Qualcuno sarà pronto a morire per amore della vita di un uomo che muore. Perché? Per la bellezza dell’amore, per la bellezza che è nel gesto, nel dono di amore e per quella bellezza che l’amore sa contemplare nella vita di un uomo che muore. La bellezza di un uomo che muore è la bellezza di Gesù. Quella donna che l’ha unto in vista della sepoltura, ha voluto dimostrare come splende di bellezza l’umanità che va incontro alla morte. È la prima sezione del racconto della passione.
 
Il sepolcro: cap. 15,40. Qui di nuovo compaiono delle donne, al plurale adesso, sono cresciute nel frattempo. Sono citate per nome. Tre quadri: Il primo quadro vv. 40-41. «C’erano anche alcune donne che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme». Dunque donne che osservano; tutto avviene sotto il loro sguardo. Queste donne hanno osservato Gesù fin dalla Galilea e sono state spettatrici degli eventi che si andavano compiendosi fino all’attuale, a Gesù che pende dalla croce, cadavere, sul Golgota. Stavano ad osservare. Il quadro centrale (15,42-47) contiene il racconto della vera e propria sepoltura di Gesù. Interviene Giuseppe di Arimatea che si fa coraggio, va da Pilato, si fa consegnare il cadavere, lo cala dalla croce, lo depone in un sepolcro, fa rotolare un masso contro l’entrata. «Intanto Maria di Magdala e Maria madre di Ioses stavano ad osservare dove veniva deposto». Hanno osservato tutto fino all’evento della morte sul Golgota; osservano ora dove viene deposto. Osservano. Per la terza volta viene usato questo verbo. Il terzo quadro nella settima sezione è piuttosto ampio; è il vangelo della resurrezione, è l’ultimo elemento dell’intera costruzione: «Passato il sabato, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù». Di nuovo l’unguento: dall’unguento versato a Betania a questo preparato per imbalsamare il cadavere di Gesù. Tutto il racconto della passione secondo Marco è incorniciato in questo duplice richiamo alla funzione femminile di ungere il cadavere. Hanno preparato gli unguenti necessari per andare a imbalsamare Gesù. Sappiamo come vanno le cose. «Il primo giorno dopo il sabato vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: “chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?”. Ma, guardando, videro.» Ritorna il verbo vedere per la terza volta: hanno osservato ogni cosa sul Golgota, hanno osservato dove Gesù è stato deposto, quando Giuseppe d’Arimatea l’ha chiuso nel sepolcro; adesso osservano tutto quello che è avvenuto e sta avvenendo sotto i loro sguardi. E’ uno sguardo affettuoso, e insieme commosso e dolente.
 
«Guardando, osservarono che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande». Il sepolcro è vuoto. Questo significa che non c’è più un cadavere da ungere. Non c’è più Gesù da imbalsamare. Le donne hanno in mano i vasetti con l’unguento, l’hanno preparato, con tanta accuratezza, se lo sono portato dietro e adesso entrano nel sepolcro, per constatare che è vuoto. Un giovane, seduto sulla destra, vestito di una veste bianca, si rivolge a loro. C’è una reazione di spavento da parte delle donne, l’angelo le conforta: «“Non abbiate paura! Voi cercate Gesù di Nazareth, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”. Ed esse, uscite, fuggirono via del sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno perché avevano paura».
 
Avevano paura. Il timore di cui si parla è proprio dell’adoratore. “Uscite corsero via dal sepolcro, piene di tremos e ecstasis, tremore ed estasi”: è un tremito estatico, è una commozione travolgente, che è l’unica risposta con cui possono aderire all’evento di cui sono state testimoni. Non c’è più il cadavere. È vivo, è il vivente. Le donne restano sbalordite, e poi tremanti, prese da uno slancio incontenibile, che ormai le proietta nella corsa lungo tutte le strade per annunciare che Gesù è vivente. Quelle donne conservano tra le loro mani i vasi dell’unguento, resta loro il profumo, ma un profumo che non hanno potuto usare per imbalsamare il cadavere; è un profumo che rimane loro come sacramento del Vivente: è il suo profumo, il profumo dell’invisibile. E’ passato di qua, andate in Galilea, là lo vedrete.
 
È passato di qua. Il suo profumo impalpabile, inafferrabile, eppure inconfondibile, dimostra come ormai sempre e dappertutto la santità di Dio si è rivelata a noi attraverso la morte e la risurrezione del suo Figlio per amore; si è riversata nel mondo, su ogni creatura, in ogni luogo e in ogni tempo, perché gli uomini non muoiano più. La corsa di queste donne è la corsa della Chiesa che evangelizza in ogni luogo e in ogni tempo; è la corsa di coloro che sono esperti nel gustare, apprezzare, il valore di quel profumo; che sono in grado, nel contatto con ogni realtà di questo mondo, in ogni luogo e in ogni tempo, di riconoscere la Presenza di quel profumo. Le donne sono in corsa. Così si chiude il racconto evangelico. Si va da Betania al sepolcro: l’unzione per la sepoltura è quella che avviene a Betania, ma adesso il sepolcro è vuoto, rimane l’unguento come segno sacramentale di lui, il Vivente, che unge noi. 
 

 




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