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Lectio divina della XIII Domenica del Tempo ordinario – Anno C

Inserita il: 27/06/2019

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Lc 9,51-62
“Nessuno che mette mano all’aratro
e poi si volge indietro, è adatto per il Regno di Dio”

51Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme. 52E mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. 53Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. 54Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». 55Si voltò e li rimproverò. 56E si misero in cammino verso un altro villaggio. 57Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 59A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 60Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». 61Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». 62Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

CONTESTO E TESTO
La Parola di Dio di questa domenica ha il valore di una forte provocazione per la nostra vita cristiana: Gesù ci chiama a seguirLo in maniera radicale, senza mezze misure. Dio, nel testo della prima lettura, chiede al profeta Eliseo, mediante il ministero di Elia, di dargli il primato anche sugli affetti più intimi: quello dei genitori. San Paolo nella seconda lettura ci ricorda che se il discepolo cammina secondo lo Spirito del Signore Risorto, potrà vivere nell’amore a Dio e al prossimo rinunciando ad ogni impulso egoistico, per essere libero veramente, libero da se stesso.
 
Nel Vangelo, vediamo che Luca continua ad usare la metafora del cammino caricandola di un significato teologico: ci mostra che Gesù vuole compiere sino in fondo la missione affidatagli dal Padre, in modo che anche i discepoli possano vivere l’autenticità della sequela in tutti gli aspetti del quotidiano. Luca mette in risalto anche l’importanza di Gerusalemme quale meta finale del viaggio di Gesù, e per noi, suoi discepoli, la meta della Gerusalemme celeste.

LA SEQUELA DI GESÙ È RADICALE E TOTALE
Luca ci dice che i giorni di Gesù stanno compiendosi, cioè stanno arrivando alla loro pienezza, quella del dono della sua vita per la nostra salvezza. E quando si è vicino a momenti così importanti si dicono e si fanno le cose decisive per il senso della vita. Anzitutto Gesù prende la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme (alla lettera: Indurì il suo volto per andare verso Gerusalemme). Indurire il volto ricorre nei profeti: Ezechiele 6,2 (rafforza il tuo volto); 13,17 (id.); Geremia 3,12 (id.). Per Gesù è prendere una decisione irrevocabile; è rendersi insensibile ad ogni richiamo che non sia la voce del Padre. Questo indurimento è necessario come rifiuto di ogni compromesso e per dare compimento alle Scritture che lo riguardano (vedere Is 50,5-8 dove ricorre l’espressione: «rendo la mia faccia dura come pietra»).

IL RIFIUTO DEI SAMARITANI
Gesù, nell’attraversare la Samaria, si trova davanti il rifiuto dei samaritani, che erano ostili al popolo di Israele. Infatti nel sec. VIII a. C. gli Assiri trapiantarono in Samaria gruppi di abitanti orientali di altra nazionalità e religione in luogo della popolazione deportata (2Re 17,24). Il popolo misto che ne nacque praticava una religiosità nella quale elementi religiosi israeliti si erano amalgamati con altre tradizioni straniere (cfr. 2Re 17,25ss). Da qui la separazione con i giudei. I samaritani costruirono un tempio sul Monte Garizim che fu distrutto nel 128 a.C. Essi continuarono il loro culto sul monte e ad attendere un loro messia. Erano simpatizzanti dei romani contro i Giudei. 
 
Giacomo e Giovanni reagiscono nella linea propria dell’antico testamento appellandosi al profeta Elia (2Re 1,9-12). Come Pietro in precedenza, così ora Giacomo e Giovanni rifiutano la logica di Cristo quell’amore che salva e non condanna. Sono i tre più intimi, che sono stati testimoni della gloria della trasfigurazione di Gesù sul Tabor, ma pare non abbiano capito bene la missione di Gesù, che è venuto per salvare e non per condannare, passando attraverso la sofferenza e la morte prima di giungere alla gloria. 
 
Gesù li rimprovera perché non ricordano quasi nulla del suo insegnamento e della misericordia evangelica che lo caratterizza: “Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano” (Lc 6,27). La memoria spirituale è necessaria per accogliere il Vangelo tutto intero.

LA CONDIZIONE PRECARIA DEL DISCEPOLO DI GESÙ
Lungo il cammino si vogliono unire a Gesù altri discepoli. L’evangelo di Luca sceglie tre casi. Un tale (secondo Mt 8,19 è uno scriba) quindi un uomo che ama situazioni privilegiate e il danaro. Egli si offre spontaneamente di seguire Gesù, dovunque egli vada. Ma per Gesù la sequela non deve porre condizioni. Essa è condivisione totale della sorte del Maestro. Seguirlo nella strada che sale a Gerusalemme significa accogliere su di sé la stessa obbedienza al Padre fino ad essere rifiutato e condannato alla morte di croce. Questa via verso Gerusalemme, che Gesù percorre fisicamente, arricchendola del suo insegnamento, diviene la via del Signore (cfr. At 18,25) che ogni discepolo deve percorrere.
 
Alla pretesa di sicurezza e forse di gloria dello scriba, il Maestro contrappone la sua situazione precaria: le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi. Nel sottofondo si sente il salmo 104,17ss: mentre la Provvidenza di Dio si cura di tutte le creature, al Figlio dell’uomo non è neppure riservato quello che dal Padre dona a questi animali. Volpi e uccelli sono coloro che abitano in luoghi desolati e di abbandono. Nel salmo 84,4 il passero ha un nido nella Casa del Signore, ma il Figlio dell’uomo non ha dove chinare il capo se non sulla Croce come è scritto: e declinato il capo diede lo Spirito (Gv 19,30).
 
In questo secondo caso è Gesù che prende l’iniziativa. Il discepolo risponde: “Permettimi…”, si ritiene a Lui soggetto però pensa che sia possibile una dilazione. Il Regno è la vita, tutto il resto è morte: il Regno sta a questo mondo come la vita alla morte; vedi otri nuovi messi a disposizione per il vino nuovo (Lc 5,38). Per Gesù non c’è nulla che si possa anteporre al Regno (cfr. Mt 6,33 cercate prima…); nemmeno il compito più importante e significativo: quello di andare a seppellire il padre, come comanda il quarto comandamento. Gesù risponde: lascia che i morti seppelliscano i loro morti. 
 
Nell’A.T. si trovano due categorie cui è proibito seppellire il proprio padre; al sommo sacerdote (Lv 21,11) perché non deve contaminarsi e al nazireo  (Nm 6,6ss). Gesù mentre chiama e manda ad annunziare l’Evangelo, conferisce una santità sacerdotale che separa l’eletto dalla morte e l’Evangelo stesso è il nazireato che sta su di lui rendendolo santo al Signore e separato dai suoi stessi familiari. Nella comunione con Gesù sono annientati il potere e il diritto della morte e in luogo del lamento funebre, che è una parte importante della sepoltura (cfr. 7,22), subentra il lieto annunzio dell’irruzione del Regno di Dio (cfr. At 2,22ss; 1Cor 15,20ss). L’urgenza di annunciare il Regno non può essere sottoposta, in questo momento, a nulla, neppure a questo dovere filiale fondamentale. Il non eseguirlo, per comando di Dio, ha valore di testimonianza, è un segno profetico (cf Ez 24,15-24: divieto di fare lutto per la morte della moglie). 
 
Questo terzo caso, proprio di Luca, non permette nessun indugio nella sequela di Cristo, diversamente da Elia che invece aveva dato ad Eliseo il permesso di salutare i suoi. (1Re 19,20). La rinuncia va compiuta subito. La risposta proverbiale di Gesù, nell’immagine dell’aratro, sottolinea da una parte l’impossibilità di tornare indietro (Fil 3,13; Gv 6,6) e dall’altra la mano ferma nel lavoro e l’attenzione totale ad esso. Voltarsi indietro è infatti contrario a quanto ha vissuto Gesù: cioè indurire il proprio volto di fronte alla sofferenza e al rifiuto che lo attendono nella sua missione (v. 51). Noi come Gesù, con Gesù, accogliamo la Pasqua come criterio della nostra vita di disc

 




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hna Maricel

29/06/2019 | 02:24

gracias y bendiciones por este precioso aporte compartido en nuestro caminar de FE

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