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Lectio divina della Solennità di Tutti i Santi - Anno A

Inserita il: 29/10/2020

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Mt 5, 1-12
“Beati voi, perché vostro è il Regno dei cieli”
 

In quel tempo, 1vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: 3«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. 4Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. 5Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. 6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. 7Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. 8Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. 9Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. 10Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. 11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. [Così infatti perseguitarono i profeti, quelli prima di voi]».

 
CONTESTO E TESTO
Il contenuto della liturgia della Parola nella solennità di tutti i Santi è pervaso dalla gioia e dalla bellezza di Dio. I santi sono il frutto maturo della risposta donata all’iniziativa d’amore del Padre che ci ha chiamati ed essere suoi figli nel Figlio primogenito della creazione: Gesù Cristo. È Lui che annunciando la buona notizia dell’amore del Padre, ci ha definiti “beati”, di quella beatitudine che non appartiene alla logica di questo mondo, ma è profetica perché rende visibile il Figlio. Noi siamo, come Lui, beati perché siamo poveri in spirito, perché mentre siamo nel pianto crediamo nelle consolazioni di Dio, perché viviamo nella mitezza e nella dolcezza in tutte le relazioni e così possediamo il cuore dei nostri fratelli; beati perché nella nostra fame e sete della giustizia siamo saziati della giustizia che è la santità di Dio.
 
Beati perché i nostri cuori sono misericordiosi verso gli altri e riceviamo la misericordia di Dio, perché come figli di Dio siamo operatori di pace. Beati perché perseguitati per Cristo e il suo Vangelo anticipiamo il Regno dei cieli e a coloro che ci maledicono e insultano rispondiamo con la benedizione. Chiediamo anche noi, per intercessione di tutti i Santi, la grazia della santità per raggiungere la pienezza della carità, e vivere in questo mondo nella lode di Dio e nella benedizione per tutti i nostri fratelli.

GESÙ PROCLAMA LE BEATITUDINI
Le folle, che vengono a Lui da tutte le parti della terra santa, formano la Chiesa, il popolo da Lui sanato. Egli, vedutele, sale verso il monte a indicare che la città è posta sul monte secondo quanto dice dopo: «Non può essere nascosta una città posta su un monte» (v. 14). 
 
La Chiesa, formata dalle Genti e da Israele, sale sul monte dov’è il Cristo. Si realizza così la profezia di Isaia al cap. 2,1-4: Alla fine dei giorni il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti … c’insegnerà le sue vie e potremo camminare per i suoi sentieri.
 
Per insegnare, il Signore si siede e intorno a Lui si forma l’assemblea dei santi; infatti gli si avvicinano i suoi discepoli come è scritto: Certo egli ama i popoli; tutti i suoi santi sono nelle tue mani, mentre essi, accampati ai tuoi piedi, ricevono le tue parole (Dt 33,3).
 
Egli ora apre la sua bocca «Lui che nella Legge antica era solito aprire quella dei profeti» (Agostino), come accadde al profeta Isaia la cui bocca fu toccata dal carbone ardente (Is 6,6-7). Infatti Dio che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio (Eb 1,1-2). Dalla sua bocca esce la grazia dell’insegnamento, infatti la bocca parla dalla pienezza del cuore (Mt 12,34) e il suo pensiero è più vasto del mare e il suo consiglio più del grande abisso (Sir 24,27).
 
Gesù colloca la povertà nello spirito. Qui essa diviene beatitudine perché rende partecipi del regno dei cieli. Lo spirito è il principio della vita, che fa essere ciascuno degli uomini un individuo. Come l’anima è il principio della vita, così lo spirito è la sintesi individua dell’unione dell’anima e del corpo. Lo spirito, pertanto, appartiene a Dio come Egli stesso dice: «Non dimorerà il mio spirito in questi uomini in eterno» (Gn 6,3). Il saggio dice: «Chi sa che lo spirito dell’uomo è quello che sale in alto?» (Qo 3,21) e come risposta dice più avanti: «Ritorna la polvere alla terra, com’era prima e lo spirito torna a Dio che lo ha dato» (12,7). 
 
Alla sorgente dell’essere e dell’esistere individuale Gesù colloca la povertà, come realtà che abbraccia tutto l’uomo e ne determina tutta la sua esperienza. Essere povero significa un passaggio spirituale dall’essere in Adamo, come creatura vecchia, ammalata perché soggetta al peccato, all’essere in Cristo nella sua povertà, cioè nel suo annientamento, che è sorgente di ricchezza per noi; infatti «Colui che è povero» «ci ha arricchiti con la sua povertà» (cfr. 2Cor 8,9). L’essere poveri nello spirito implica pertanto la scelta radicale di Dio, come l’unico e come il tutto. Questa scelta, che si opera nell’intimo, investe tutta la vita. In questa scelta si rivela l’appartenenza al Regno. 
 
I Padri dicono che la povertà nello spirito è l’umiltà, come dice Agostino: «giustamente qui sono chiamati “poveri nello spirito” gli umili e quanti temono Dio, cioè che non hanno uno spirito che si gonfia».
 
Il Signore cita il profeta Isaia (61,2). È il testo che definisce la sua missione: «Lo Spirito del Signore è su di me … per consolare tutti coloro che si affliggono». Il Signore annuncia in questa beatitudine la sua missione. Tuttavia pone un futuro: saranno consolati. Questo mette in luce che ora la partecipazione al Regno dei cieli non genera consolazione ma è ancora caratterizzata dall’afflizione. Infatti ora vi sono di quelli che si affliggono a causa dei loro peccati antichi e soffrono per il rimorso di quelle colpe di cui si sono macchiati (cfr. Ilario). Altri giungono a un tale grado di amore per i fratelli che ne piangono le colpe come fa l’Apostolo con quelli di Corinto (2Cor 12,21) e come rimprovera loro di non aver fatto (1Cor 5,2). 
 
Vi è chi piange e si affligge per la Chiesa nella sua attuale situazione e per Israele che è indurito. Ad essi si rivolge il profeta: «Gioite con essa con gioia voi tutti che vi affliggete per essa perché succhierete e vi sazierete al seno delle sue consolazioni» (Is 66,10-11). Anche i discepoli che hanno fatto lutto e hanno pianto per il Signore morto (Mc 16,10), sono consolati dalla sua risurrezione. Ma a questa consolazione non è estranea anche ogni altra afflizione per l’amore del Signore. Ma è beata solo l’afflizione che è vissuta nella fede e nell’incrollabile speranza nella promessa. Infatti la beatitudine non è causata dall’afflizione ma dall’interiore certezza della fedeltà di Dio alla sua Parola. La beatitudine è quindi spirituale e sostiene lo stato di afflizione perché non degeneri nella tristezza senza speranza dell’angoscia. L’afflizione, quando è tutta nella fede genera un’intima consolazione.
 
Anche qui il Signore cita le divine Scritture e precisamente il Sal 37,11: «E i poveri (LXX: i miti) erediteranno la terra». Il Signore stesso si definisce mite e umile di cuore (Mt 11,29) e in questo si rivela come Messia come è detto in Zac 9,9 citato in Mt 21,5: «… ecco il tuo re viene a te mite». Lo stesso Apostolo mette in luce la mitezza del Signore in 2Cor 10,1: «Vi esorto per la mitezza e la mansuetudine di Cristo». Nell’Antico Testamento Mosè è definito «molto più mite di ogni uomo che è sulla terra» (Nm 12,3). L’esperienza di Dio toglie dal cuore la violenza e rende miti. Infatti il popolo che segue il Cristo è «un popolo mite e umile» (Sof 3,12). 
 
Ai miti è data in eredità la terra. Non questa, ma la terra dei viventi (cfr. Sal 26,3; 141,6). Infatti l’eredità è riposta nei cieli come è detto di Abramo: «Aspettava la città dalle salde fondamenta il cui architetto e costruttore è Dio stesso» (Eb 11,10). Questa terra, dice Ilario, «è il corpo che il Signore stesso ha assunto come dimora. Poiché il Cristo abiterà in noi grazie alla mansuetudine del nostro spirito, noi pure saremo rivestiti della gloria del suo corpo glorificato».
 
Avere fame e sete è un’esigenza primaria dell’uomo. Quando uno ha fame e sete desidera solo questo e lo ricerca con tutto se stesso. Nella Scrittura per esprimere un desiderio intenso si parla di avere fame e sete. Vedi ad esempio Sal 42,3: «È assetata la mia anima del Dio vivente» e Sal 63,2: «O Dio, Dio mio, per te veglio all’alba; è assetata di te la mia anima». L’essere affamati e assetati della giustizia deriva da una particolare situazione spirituale: «Chi geme sotto il peso, chi se ne va curvo e spossato, chi ha gli occhi languenti, chi è affamato, questi ti rendono gloria e giustizia, Signore» (Bar 2,18). 
 
L’Evangelo parla di aver fame e sete della giustizia. L’Evangelo di Matteo concentra l’uso del termine «giustizia» in questo discorso della montagna. In 5,20 Gesù contrappone la giustizia dei suoi discepoli a quella degli scribi e dei farisei e la vuole superiore nell’esatta osservanza della Legge. Infatti subito dopo Egli interpreta con autorità i comandamenti mostrando in che cosa consiste questa superiorità. In 6,1 definisce «giustizia» l’elemosina, la preghiera e il digiuno e anche qui mostra in che cosa consiste la differenza tra i suoi discepoli e gli ipocriti e i pagani. In 6,33 abbina la giustizia di Dio e il regno. Qui vi è una contrapposizione con i beni primari come nella prima tentazione. 
 
Gesù caccia il diavolo, che lo tenta di usare la Parola di Dio per i beni primari e non per santificare l’uomo. Di questa fame e sete è segnato il Signore Gesù come nella prima tentazione: «Non di solo pane vivrà l’uomo ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4) e sulla croce grida: «Ho sete» (Gv 19,28). Il primo beato è Lui che ha fame e sete. Vedi Sir 24,20: «Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti si abbeverano di me avranno ancora sete». Questa giustizia consiste nell’avere fame e sete di quella interiore santificazione che è il manto della giustizia (Is 61,10). Questa è solo data dal Cristo e la si ottiene mediante la fede.
 
Misericordioso è un titolo divino che esige imitazione come è detto in Lc 6,36: «Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro celeste». L’usare compassione diventa la misura del giudizio, come è detto in 18,33: «Non dovevi anche tu avere misericordia del tuo conservo come io ho avuto misericordia di te?» e in Gc 2,13: «Il giudizio sarà senza misericordia contro colui che non avrà usato misericordia». Le beatitudini diventano ora attive. Infatti il Signore rende i suoi poveri (afflitti, miti, affamati e assetati di giustizia) partecipi della sua vita divina facendoli essere misericordiosi, puri di cuore e operatori di pace. L’imitazione di Dio consiste nell’essere misericordiosi. (Vedi Ef 4,32-5,1). Essi otterranno la misericordia del Regno che non è data per merito ma per grazia.
 
Nel Sal 24,4 è detto: «Il puro di cuore, che non ha ricevuto invano l’anima sua», salirà il monte del Signore. È puro di cuore perché non ha ricevuto invano la sua anima contaminandola con il peccato e le vanità del mondo come dice Agostino. Tuttavia la purezza del cuore è un atto creativo divino per cui ciascuno così prega: «Un cuore puro crea in me, o Dio» (Sal 51,12). La supplica a Dio è esaudita in Cristo nel quale si ha l’uguaglianza tra Israele e le Genti come dice l’Apostolo Pietro: «Dio che conosce i cuori ha reso testimonianza in loro favore concedendo lo Spirito Santo anche a loro come a noi e non ha fatto nessuna discriminazione tra noi e loro purificandone i cuori con la fede» (At 15,8-9). 
 
Quindi la fede in Cristo rende puri i cuori. Purezza equivale a semplicità, come insegna Agostino che cita Sap 1,1: «Nella semplicità del cuore cercatelo». Infatti l’intimo è purificato, in virtù della fede, dal torbido delle passioni, i cui pensieri sono complessi e distorti, ed è reso semplice. La semplicità è adesione alla Parola di Dio, i cui comandi sono limpidi e danno luce agli occhi (cfr. Sal 19,9). Dal cuore reso puro nasce l’invocazione al Signore (cfr. 2Tm 2,22). L’amore deriva dal cuore puro, da una buona coscienza e dalla fede sincera (cfr. 1Tm 1,5). Più il cuore diviene puro più intima e vera diviene la visione di Dio; ora di riflesso e in modo enigmatico, allora «faccia a faccia» (1Cor 13,12). Infatti la purezza di cuore è la progressiva trasformazione dello stato dell’Adamo terreno in quello celeste per la partecipazione alla natura divina. 
 
Questa diviene in noi principio dinamico di trasformazione come dice L’Apostolo Giovanni: «Sappiamo che quando si sarà manifestato, saremo simili a lui perché lo vedremo così come è» (1Gv 3,2). La visione nella fede è l’inizio di questo processo trasformante. Infatti nel salmo è scritto: «Io nella giustizia vedrò il tuo volto, mi sazierò al risveglio della tua immagine» (Sal 17,15) ed è quanto è detto nell’Apocalisse: «E i suoi servi lo serviranno e vedranno il suo volto» (Ap 22,3-4).
 
Operatore di pace è il Cristo, il Figlio di Dio, come è detto in Col 1,20: «Rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli». Quest’azione del Cristo, che fa la pace, ha come effetto, «di creare in se stesso, dei due (= Israele e le Genti), un solo uomo nuovo» (Ef 2,15). In virtù di questa pace, operata dal Cristo, i suoi discepoli possono operare la pace. Infatti Egli ci lascia la sua pace e ce la dona e noi possiamo, a nostra volta, donarla. La pace è già in mezzo a noi perché Cristo «è la nostra pace» (Ef 2,14) e quindi è possibile operare nella pace.
 
Queste operazioni di pace, tipicamente divine, sono all’interno di noi stessi come dice il Signore stesso: «Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri» (Mc 9,50). Il sale è segno dell’interiore sapienza per cui operatori di pace sono «coloro che calmano tutti i movimenti del loro animo e li sottomettono alla ragione, cioè alla mente e allo spirito» (Agostino). La pace dall’intimo si estende all’esterno per cui «chi riprende con franchezza è operatore di pace» (Pr 10,10 LXX). Il discepolo pertanto si caratterizza per questa ricerca della pace con tutti come insegna l’Apostolo: «Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore» (Eb 12,14). Il fatto che fin d’ora siamo figli di Dio si vede attraverso le operazioni di pace. La rigenerazione divina diviene visibile nel cercare la pace e perseguirla (cfr. Sal 34,15). Chi fa questo sarà chiamato figlio di Dio quando si rivelerà ciò che noi saremo (cfr. 1 Gv 3,2).
 
Qui il Signore fa coincidere «giustizia» con se stesso. Dice a causa della giustizia e a causa mia. Infatti, dice l’Apostolo: «Cristo è divenuto sapienza per noi da parte di Dio, giustizia, santificazione e redenzione» (1Cor 1,30). Essendo la giustizia, Egli è colui nel quale si rivela la giustizia. Egli è perseguitato come è detto in Gv 5,16: «Per questo i giudei perseguitavano Gesù perché faceva queste cose nel sabato». Nel sabato Egli rivela l’opera del Padre e quindi la sua giustizia, ma i giudei non lo hanno accolto e pertanto, racchiusi nel loro modo di interpretare il sabato, hanno perseguitato Gesù.
 
La persecuzione verte sul suo Nome come dice subito dopo: «Ma tutte queste cose faranno verso di voi a causa del mio nome» (ivi, 21) e come altrove dice: «E sarete odiati da tutti a causa del mio nome» (10,22). Nel rivelarsi del Nome si rivela la pienezza della giustizia di Dio e questa diviene giudizio che suscita in coloro che rifiutano persecuzione al Nome e in coloro che accettano benedizione. È infatti sulla Croce che si ha la rivelazione del Nome, che è sopra ogni altro nome, ed è qui, nel suo annientamento, che Egli è disprezzato come è detto degli stessi che erano crocifissi con Lui: «E quelli che erano crocifissi con lui lo disprezzavano» (Mc 15,32). Anche coloro che sono nella sua sequela partecipano a questo annientamento che porta a essere disprezzati e perseguitati ed essere oggetto di ignominia a causa della menzogna che è nell’uomo o che è l’uomo stesso come dice il Salmo 116,11 «Ho detto con sgomento: Ogni uomo è inganno».
 
Il rivelarsi della giustizia in Cristo è il rivelarsi pure della verità. I discepoli «che sono dalla verità ascoltano la sua voce» (Gv 18,37) e quindi vengono disprezzati, perseguitati e si dice di loro ogni male. 
 
L’essere nell’annientamento del Cristo e nella sua umiliazione non genera nei discepoli amarezza ma gioia ed esultanza come è testimoniato degli apostoli che «se ne andavano gioiosi dalla presenza del sinedrio, perché erano stati ritenuti degni di essere disonorati per il Nome» (At 5,41). Forti di questa esperienza l’Apostolo Pietro così dice: «Se siete disprezzati nel nome di Cristo, beati, perché lo Spirito della gloria e di Dio su di voi riposa» (1Pt 4,14). Questa gioia sovrabbondante e visibile scaturisce dalla molta ricompensa riposta nei cieli. Questa deriva da una certezza fondata sulla promessa e sulla visione profetica degli ultimi tempi, come è detto in Ap 11,17-18: «… il tempo di giudicare i morti e di dare la ricompensa ai tuoi servi, ai profeti e ai santi e a quanti temono il tuo nome piccoli e grandi». Colui che è annientato sulla Croce e nei suoi discepoli e in loro continua a essere disprezzato come dice il Cristo a Saulo (cfr. At 9,4), rivela la sua ira e opera il giudizio. 
 
La gioia scaturisce nell’essere all’interno di questa lotta vittoriosa del Cristo che ora è legata all’umiliazione dei suoi servi, profeti e santi, e che si manifesterà nella loro glorificazione. Questa è stata anche la situazione dei profeti. Essi hanno annunciato profeticamente il Cristo e la sua giustizia e per questo sono stati perseguitati. Infatti la profezia ha come sorgente lo Spirito di Cristo e quindi gli rende testimonianza. Il Profeta è totalmente coinvolto nella profezia non solo nelle parole che dice ma anche nelle azioni che deve compiere. Questa è la sorte stessa dei discepoli nei quali è l’Evangelo, compimento e rivelazione della profezia.

 




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