Lectio divina della XV Domenica del Tempo ordinario - Anno A
Inserita il: 10/07/2020
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Mt 13,1-23
“Il seme è la parola di Dio, il seminatore è Cristo”
1Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare.2Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. 3Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. 5Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, 6ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. 7Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. 8Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. 9Chi ha orecchi, ascolti». 10Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». 11Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. 12Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. 13Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. 14Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice: “Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. 15Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca!”. 16Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. 17In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono! 18Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. 19Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. 20Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, 21ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. 22Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. 23Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».
CONTESTO E TESTO
La liturgia della Parola di questa XV domenica ci invita a contemplare il dinamismo del seme, che richiama il mistero del Regno di Dio, la fecondità dell’annuncio della Parola. Come il seme, la Parola di Dio è piccola, ma densa di vita, si dona con umile abbondanza e attende solo che il terreno, cioè il nostro cuore, l’accolga con fiducia, libero da sassi e da sterpaglie ingombranti, ben lavorato e pulito, pronto a diventare grembo fecondo per la Parola di Dio. Anche la similitudine del grembo, che geme e soffre quando deve partorire la vita, così come ci ricorda l’apostolo Paolo, sottolinea il travaglio necessario perché il seme porti frutto in abbondanza.
APPROFONDIMENTO DEL TESTO
La parola Uscì si trova anche all’inizio della parabola (v. 3); ora il Signore descrive ciò che sta compiendo; esce di casa per dare un insegnamento pubblico, nella casa per lo più insegna ai discepoli, ai suoi familiari (cfr. v. 36). Sedette in riva al mare. Prima che la folla si radunasse, il Signore si era messo seduto in una silenziosa contemplazione attraverso il linguaggio del mare. Il Verbo, in cui tutto è creato e che a tutto dà la propria forma, contempla ora l’opera delle sue mani ed estrae dalla natura il suo Evangelo perché in tutto si contempli l’unità.
Nei capitoli 11 e 12 Gesù è stato disprezzato e oltraggiato per la sua piccolezza. Ora nelle parabole ne rivela il perché. I versetti 1-2 introducono e ambientano le parabole. Mentre il discorso, riportato ai c. 5-7, viene fatto sul monte, le parabole sono annunciate sulla riva del mare. Che significato ha il mare? Secondo una probabile interpretazione di Dt 33,23 (il mare e il meridione sono sua proprietà) Neftali possiede il mare di Galilea. È nel suo territorio che il Signore predica: cfr. 4,13-16: la grande luce illumina chi è nelle tenebre e rivela i misteri nascosti. La folla sta sulla spiaggia i cui granelli sono simbolo della benedizione che Dio ha dato ad Abramo (cfr. Gn 22,17). Dio ha benedetto Israele e ora lo raccoglie attorno al Cristo, che gli parla dalla barca, simbolo della Chiesa.
Gesù, da vero saggio, parla in parabole come è detto in Sir 39,3: indaga il senso recondito dei proverbi e s’occupa degli enigmi delle parabole. Le parabole rivelano il mistero, in modo velato e misuratamente oscuro, per rendere più attenta la mente degli ascoltatori nel ricercare il significato nascosto. Ecco, indica che l’azione si sta compiendo ora; uscì, è il Cristo che è uscito dal Padre. I verbi sono al passato. Questo indica un fatto che è già accaduto e che pone perciò gli ascoltatori di fronte a un’azione divina, misteriosa, che in quel momento è già in atto e si sta compiendo nei loro confronti; uscì il seminatore a seminare, questa è la prima azione che compie il Cristo. Egli, in quanto Verbo e Sapienza, ha seminato la Parola fin dalla creazione del mondo, rendendola riflesso della gloria di Dio; ha seminato nella Legge e nei Profeti, riempiendoli della nascosta conoscenza di sé. I simboli della Legge e le profezie dei profeti parlano di Lui. Infine il Verbo, facendosi Carne, semina ora l’Evangelo.
Lungo la strada: qui il seme è sprecato. È beccato dagli uccelli. È segno di sconfitta del seme che non riesce a penetrare in un terreno indurito, per cui viene divorato. Qui Gesù vuole far vedere come la Parola del Regno, che è rivestita di apparente debolezza come il seme, risulti, in certe situazioni, inefficace. Poiché essa risulta tale non si deve incolpare e disprezzare il seminatore e neppure il seme che Egli getta, ma chi non accoglie.
Il terreno sassoso con un po’ di terra, è inadatto ad accogliere il seme. Il calore della pietra lo fa subito germogliare, ma il sole lo brucia. È un terreno apparentemente accogliente ma, in realtà, non accoglie in profondità. Anche qui è sciupato. Che il seme vada sciupato non dice nulla contro il seminatore né contro la natura del seme. bisogna cercare le cause altrove. Ci si può stupire perché il seminatore sia così generoso nel gettare il suo seme e non semini invece con più economia.
L’insegnamento della parabola vuole dire che il seme giunge ovunque perché tutti devono essere salvi e aiutarci a capire quali siano le resistenze che lo distruggono senza disprezzare il Seminatore e il suo modo dimesso. Infatti Egli ha abbandonato la sua gloria di Signore e si è rivestito della natura umana, simile a uno che lascia il vestito della festa e si riveste degli abiti servili. Il Cristo agisce con grande amore e continua anche se fallisce, così deve agire chiunque è servo della Parola.
I rovi rappresentano il potere di soffocare il seme nel suo crescere; di avere più forza di esso fino a soffocarlo, poiché il ritmo di crescita del seme è più lento di quello dei rovi. Anche qui si registra l’insuccesso. Gesù mette in luce tre elementi che distruggono il seme: gli uccelli, il sole, i rovi. Gesù, che è rivestito di autorità messianica, subisce uno scacco e causa perciò scandalo in chi è debole nella fede e rimane deluso. È beato pertanto chi non si scandalizza di Lui (cfr. 11,6).
Infine c’è la terra buona che produce con una intensità diversa, secondo la sua capacità. Non vi sono pertanto solo terreni inospitali ma vi sono anche quelli che sanno accogliere, secondo il proprio di ciascuno, le potenzialità della Parola e sanno adeguarsi ad essa senza opporre resistenza.
In Dt 29,3 la Legge ammonisce gravemente e invita a fare attenzione a se stessi e quindi a invocare il Signore per capire bene quello che si ascolta. In Sal 115,6: non ascoltare è la condizione tipica degli idoli. Gesù, con questa parabola annuncia anche il parziale fallimento dell’annunzio del Regno. Ma bisogna passare attraverso questo fallimento per giungere alla vittoria finale che si manifesterà in coloro che hanno accolto e anche in tutti coloro nei quali, seppur nella condanna, apparirà la verità del Regno.
La domanda dei discepoli introduce una prima spiegazione sul perché Gesù parli in parabole. Sottolinea lo stupore dei discepoli per questo tipo di linguaggio che è un linguaggio degli iniziati più che delle folle. Vi è quindi un altro motivo che viene ora messo in luce.
È dato... non è dato, dal Padre. Vedi 11,25-26: è nel beneplacito del Padre nascondere e rivelare, dare e non dare perché solo Lui conosce i cuori. Vedi Rom 9,14-18. «È dato, questo presente sottolinea che il dono non è diventato una cosa posseduta, ma dice una relazione di unione col donatore» (TOB). Quindi anche “il non è dato” può diventare un “è dato”, come insegna l’apostolo nella parabola dell’olivo e dell’olivastro in Rm 11,16-24.
I misteri del regno. Essendo tali devono essere rivelati. È necessario pertanto che siano aperti la mente e il cuore dei discepoli perché vedano e considerino quanto sta accadendo. Anche se è nascosto, non va disprezzato (cfr. 1Cor 2,7-10). Gesù prende questo sentiero perché in Lui presente si opera quella “rivelazione nascosta” che è data come conoscenza ai suoi discepoli. Per questo Gesù deve parlare in parabole perché esse esprimono questo carattere di “rivelazione nascosta”.
Infatti, sottolinea un collegamento di questa massima con quanto precede. Ha perché “gli è dato”, non ha perché non “gli è dato”. Questo riguarda il presente in rapporto al Regno nei misteri. Sarà dato e sarà nell’abbondanza e sarà tolto anche quello che ha riguarda il futuro quando il Regno si manifesterà; allora si opererà un giudizio. Che cosa ora ha o non ha? Forse la libertà della scelta. Ora è libero di aderire o di essere indifferente di fronte all’annuncio del Regno. Se in questo momento sceglie, la sua conoscenza giungerà alla perfezione; se invece ora rifiuta, gli sarà tolta anche la libertà.
Le parabole fanno capire chi sono coloro cui è dato e quelli cui non è dato: esse infatti impediscono di comprendere. Anche i discepoli non comprendono per cui, spinti dalla loro incapacità, sono solleciti nel chiedere. Chiedendo, è loro rivelato. Infatti in Gesù si rivela il giudizio del Padre: l’accettazione e il rifiuto di Lui è fondamentale in rapporto al Regno. La parabola non è dunque un semplice enigma da risolvere ma è la parola “misteriosa” nella quale il Regno si nasconde a chi non crede e si rivela a chi crede.
Citazione di Is 6,9 s. Quello che accadde ai profeti, accade ora a Gesù. Come fu rifiutato il messaggio profetico così ora si rifiuta l’Evangelo del Cristo. Questa è un’ulteriore conferma della veracità di Gesù. Tutto in loro rifiuta il Cristo (cuore, orecchi, occhi) perché ne rifiuta la presenza umile e mite. Non è il messia, che essi si aspettano, Gesù delude le loro attese; per questo il Maestro parla in parabole non tanto per nascondersi quanto piuttosto per dire che sono misteri e non realtà evidenti e quindi ci vuole un altro cuore, altri orecchi e altri occhi: «La carne non giova a nulla» (Gv 6,63).
Diversa è la condizione dei discepoli, cui è dato di ascoltare e di vedere. Infatti alla sequela di Gesù, il discepolo entra nella comunione con Lui e coglie chi veramente è nella sua presenza nascosta e umile. Qui sta la beatitudine: percepire il Cristo vivo e presente nel suo porsi mite e umile di cuore. Anche oggi nella Chiesa, Gesù continua a manifestarsi in questo modo perché solo così Egli entra a contatto con i piccoli e i poveri.
I discepoli sono in continuità ai molti profeti e giusti, che hanno desiderato vedere quello che essi vedono e non l’hanno visto, perché lo hanno visto solo in profezia; mentre i discepoli lo vedono attuarsi. Inoltre i profeti e i giusti, pur avendo udito, non hanno avuto la rivelazione dei misteri del Regno che spetta solo al Cristo dare: e questo è stato concesso ai discepoli.
Dunque, poiché vi è dato ora e i vostri occhi sono beati come pure i vostri orecchi, ascoltate per capire la parabola del seminatore.
Non comprende, cfr. Mt 13,13-15 (cit. di Is 6,9s); La comprensione è la penetrazione della Parola del Regno nell’interno del cuore in modo che non sia rapita dal Maligno. Dove invece il cuore è stato indurito è impossibile questa comprensione. Chi ruba, è il Maligno, che compie questa azione, altrove compiuta dai violenti (cfr. 11,12). È questa un’azione violenta e dolorosa, che il discepolo subisce da parte del Maligno. L’incomprensione quindi è dovuta a superficialità e durezza.
Con gioia, questa gioia è autentica, come quella di chi trova un tesoro (cfr. 13,44). Vedi 2,10: la gioia dei magi; 25,21.23: il servo fedele entra nella gioia del suo Signore; 28,8: la gioia della risurrezione.
Incostante oppure di breve durata, molto illuminante 2Cor 4,18: Perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne; Eb 11,24-26: Per fede Mosè, divenuto adulto, rifiutò di esser chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che godere per breve tempo del peccato. Questo perché stimava l’obbrobrio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto; guardava infatti alla ricompensa. Quindi il termine è legato a ciò che passa e si vede. Non ha in sé radici: non avendo stabilità, neppure la Parola può radicarsi in Lui. Essa è soggetta ai suoi mutevoli stati d’animo: egli a volte è soggetto alla Parola, e a volte è soggetto al peccato (cfr. Eb 11,25).
Il Signore pone due cause che soffocano la parola nel cuore di chi ascolta: la preoccupazione, che il mondo genera nell’uomo, e l’inganno, che la ricchezza gli procura in rapporto alla vita.
La preoccupazione per ciò che è necessario alla vita è già stata affrontata al c. 6; ora Egli la vede in rapporto alla Parola; sono due beni messi a confronto, da una parte il cibo e il vestito e dall’altra la Parola; l’uomo che ascolta deve scegliere se preoccuparsi per gli uni o per l’altra. La tentazione, che subisce nell’essere preoccupato, gl’impedisce la fede nell’ascolto, per questo l’apostolo Pietro raccomanda: Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi (1Pt 5,5-6). D’altra parte l’uomo subisce l’inganno delle ricchezze non solo intese come sicurezza per la vita ma come fonte di potere e di piacere; esse infatti appartengono agli elementi del mondo e quindi sono causa di inganno (cfr. Col 2,8).
Terra buona è colui che ascolta e comprende e, secondo la potenza dello Spirito, che gli è data, produce nell’intelligenza di quella parola cento, mentre in quell’altra parola produce sessanta e infine vi è una parola, in lui seminata, che produce trenta. Infatti a ciascuno è data un’intelligenza particolare della Parola e in base alla sua comprensione porta frutto. Se guardiamo al Cristo, pienezza delle divine Scritture, in lui la Parola frutta il centuplo; se guardiamo ai suoi santi vediamo che il dono loro conferito mette in luce la potenza di questa o quella parola nella quale producono il centuplo; in tal modo l’intero corpo in rapporto a tutta la Parola produce il centuplo e la Chiesa appare così la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose (Ef 1,23).