Lectio divina della XIV Domenica del Tempo ordinario - Anno A
Inserita il: 03/07/2020
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Mt 11,25-30
“Imparate da me, che sono mite e umile di cuore”
In quel tempo Gesù disse: 25“Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. 28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
CONTESTO E TESTO
Il tema delle letture di questa domenica è l’umiltà, cioè quella virtù che si unisce alla carità e che sta alla base della vita di relazione con Dio e tra di noi. L’umiltà non è una scarsa o negativa considerazione di noi stessi, ma è la luce della verità che ci fa vedere noi stessi così come ci vede Dio. È una forma di mitezza e di semplicità che ci rende gradevoli e desiderabili nelle relazioni; per questo Gesù dice di sé: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”. È la tenerezza del Padre che si manifesta a noi.
Essere umili nella vita in Cristo significa non avere altri appoggi che il Padre, cioè non appoggiarsi su se stessi, sugli altri ma riconoscere la propria creaturalità e affidarsi totalmente alla cura del Padre, proprio come Gesù. Per cui le relazioni sono caratterizzate dalla gratuità e dalla fedeltà, perché rimanere in relazione non dipende da ciò che si riceve ma dall’Amore del Padre che si accoglie e si condivide con il prossimo, proprio perché è il Padre che ci ama con Amore gratuito e fedele per sempre. E questo Amore è lo Spirito Santo.
Il brano del Vangelo, tratto da Matteo Mt 11,25-30, ci fa contemplare un momento di intensa preghiera di Gesù mentre rivolge al Padre la sua lode perché ha rivelato ai piccoli i misteri del Regno
APPROFONDIMENTO DEL TESTO
In quel tempo, cioè il tempo dopo che il Signore ha gravemente ammonito le città, in cui egli ha compiuto i segni e che lo rifiutano, esprimendo quel rifiuto, che caratterizza Israele chino sulla sua sapienza e intelligenza e quindi sulla sua giustizia che non può salvare.
Rispondendo a questo rifiuto, Gesù rivela il disegno del Padre che così vuole. Gesù disse: è una proclamazione pubblica nella quale è rivelato il senso del suo ministero Ti rendo lode, perché in Lui si rivela il Padre e da Lui viene glorificato nella puntuale realizzazione della sua volontà. Il Padre, Lo rivela e rivelandolo rivela se stesso, cioè Signore del cielo e della terra, come è scritto: In principio Dio creò il cielo e la terra (Gn 1,1); essendone il Creatore ne è pure il Signore che rivela, in questo spazio della creazione e nella sua storia, il disegno tenuto nascosto dalla creazione del mondo ma ora rivelato nel Figlio.
Perché hai nascosto: sotto la lettera della divina Scrittura e tra le pieghe della storia, queste cose, cioè i misteri del regno, sono nascosti ai sapienti e ai dotti, che scrutano le divine Scritture e tali sono chiamati in Israele, ma che non sono giunti alla conoscenza secondo lo Spirito, perché la loro vita non è coerente. Come accadde a Babilonia «quando i saggi non seppero interpretare il sogno di Nabucodonosor (Dan 2,3-13) mentre il mistero fu svelato a Daniele dal Dio del cielo (ivi 18-28) e che perciò lodò Dio per avergli accordato la sapienza (ivi 23) sul Regno innalzato da Dio medesimo (ivi 44)» (TOB); e le hai rivelate ai piccoli. Come il Padre nasconde ai sapienti e ai dotti, così ora li rivela ai piccoli.
Nell’accogliere o nel rifiutare Gesù ci rende manifesta questa azione del Padre. La rivelazione infatti è un dono che non dipende dalla scienza dell’uomo ma dall’iniziativa divina che ha scelto i piccoli. Costoro sono privi della parola della sapienza umana e sono come infanti appena nati che succhiano il latte sincero della Parola (cfr. 1Pt 2,2) e sono piccoli quanto a malizia (1Cor 14,20). Piccoli sono i discepoli cui è dato di conoscere i misteri del Regno dei cieli (cfr. Mt 13,11).
La luce evangelica, che rivela i misteri contenuti nella legge e nei profeti, là dove vede l’orgoglio che deriva dalla sapienza carnale, si arresta e non penetra e viene persino respinta; là dove invece vede l’umiltà del cuore e la piccolezza, penetra, illumina e rivela.
Il termine piccoli pertanto designa uno stato interiore che può esprimersi anche in una condizione sociale. Pubblicani e peccatori, riconoscendo la loro situazione e aprendosi alla conversione, sono resi oggetto della rivelazione divina, mentre non lo sono sapienti e dotti che si chiudono nella loro giustizia e non hanno bisogno di conversione.
Sì, è il Si del Figlio, che ha svuotato se stesso assumendo la natura dello schiavo, e acconsente al disegno del Padre che, avendo reso piccolo il Figlio lo rivela ai piccoli. Di questo il Padre si compiace. Infatti la fede in Cristo è il presupposto della conoscenza. Senza di essa tutto è nascosto. Per questo subito dopo aggiunge:
Il Padre, il Signore del cielo e della terra, ha consegnato tutto al Figlio, che è Gesù; quindi non vi può essere rivelazione divina all’infuori di Lui. Gesù sta all’inizio della tradizione. A lui il Padre ha trasmesso tutto ed Egli ha comunicato la rivelazione, lungo le generazioni, ai giusti, ai patriarchi, a Mosè, ai profeti e ai saggi. Egli è all’inizio della rivelazione e ne è il termine perché è il Figlio.
E in quanto è tale, nessuno può conoscerlo se non il Padre che solo lo rivela come ha fatto durante il battesimo (cfr. 3,17) e come farà nella trasfigurazione (cfr. 17,5) e come accade a Pietro (cfr. 16,16). Infatti il Padre, che lo genera, Lui solo, può conoscerlo e farcelo conoscere.
Allo stesso modo nessuno conosce il Padre se non il Figlio come è detto in Giovanni: Nessuno ha mai visto Dio; l’Unigenito Dio, che è nel seno del Padre, egli lo ha fatto conoscere (1,18). Gesù si rivela e opera come il Figlio del Padre e comunica questa conoscenza a chi vuole. Solo coloro che sono discepoli del Cristo possono entrare nell’intimità del Figlio e quindi da lui ricevere la conoscenza del Padre.
Infatti solo i piccoli possono conoscere i misteri del regno perché il Figlio accoglie liberamente in sé il beneplacito del Padre e lo attua. I misteri del regno, nella loro espressione più profonda, sono la rivelazione del Figlio da parte del Padre e del Padre da parte del Figlio e soltanto i piccoli secondo il Vangelo godono di questa rivelazione.
Dopo aver lodato il Padre per la conoscenza rivelata ai piccoli, ora Gesù si rivolge a coloro che si affaticano e sono aggravati sotto gravi pesi e li invita ad andare da Lui. L’esistenza dell’uomo sulla terra è caratterizzata dalla fatica, infatti la maggior parte dei giorni sono fatica e affanno (Sal 90,10) e in Giobbe è scritto: L’uomo è nato per la fatica e i possessori d’ali si innalzano nel volo (5,7). Potremmo dire che la fatica è causata da pesi che bisogna portare e che qui non vengono precisati.
Crisostomo, Girolamo e Agostino parlano del peso del peccato come è detto in Sap 5,7: “Ci siamo saziati nelle vie del male e della perdizione; abbiamo percorso deserti impraticabili, ma non abbiamo conosciuto la via del Signore” e nel Salmo 37,5: “Le mie iniquità hanno superato il mio capo, come carico pesante mi hanno oppresso”.
Ilario e Teofilatto parlano del grave giogo della legge contrapposto al giogo leggero dell’Evangelo, come è detto in 23,4: “Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito”. «Ponendo il fine della legge entro la sfera terrena, essi la riducono a un insopportabile fardello di opere che non conduce a Dio, ma allontana da lui» (Weiss, GLNT).
A costoro, che portano pesi insopportabili, Gesù promette il riposo se vanno da Lui se cioè divengono suoi discepoli. Che cosa sia questo riposo è spiegato altrove nella divina Scrittura, come ad esempio, in Ebr 4,1-11.
Dicendo il mio giogo, Gesù lo contrappone a un altro giogo, quello della schiavitù. La venuta del Cristo spezza questo giogo, come è detto in Isaia: “Hai spezzato il giogo del suo peso” (9,3) e ancora: “In quel giorno sarà tolto il suo fardello dalla tua spalla e il suo giogo cesserà di pesare sul tuo collo” (10,27). E l’apostolo Paolo afferma: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre il giogo della schiavitù” (Gal 5,1).
Oltre che a un peso, il giogo indica corruzione come è scritto: Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli (2Cor 6,14).
Aggiogati con Cristo e in intima comunione con Lui, possiamo imparare da Lui, che inabita in noi. In Lui e con Lui, impariamo ad essere miti e umili di cuore.
Con la sua presenza, la luce dello Spirito e l’unzione della Parola, che in noi rimane, apprendiamo a essere come Lui, miti e umili di cuore. Mitezza e umiltà hanno come centro il cuore, l’intimo del nostro essere, là dove la nostra persona si esprime e si determina nel pensare, nel giudicare e nel volere.
Ora chi è aggiogato al Cristo e lo segue ovunque vada, viene determinato nell’intimo dalla sua mitezza e umiltà, che pervadono il suo pensare e il suo sentire quindi il parlare e l’agire. Per questo dice: e troverete ristoro per la vostra vita (alla lettera: per le vostre anime). Qui il Signore cita il profeta Geremia: Così dice il Signore: fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri del passato, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le vostre anime (Ger 6,16).
Come l’oracolo divino invita a fermarci e a riflettere sui sentieri di sempre, che donano pace, così Gesù ci invita a sé per dare riposo alle nostre anime. Colui che si ferma e si informa circa i sentieri del passato, cioè scruta le divine Scritture, viene al Cristo e, unendosi intimamente a lui nell’accettare la sua sorte, trova riposo per l’anima sua nella mitezza e nell’umiltà, che Egli sta rivelando nel suo ministero, e che ci orienta nel presente e ci apre al futuro di Dio.
Queste parole conclusive vogliono togliere ogni timore a chi è invitato sentendo parlare di giogo e di peso: «Non abbiate timore per il fatto che è un giogo, è infatti soave. Non schiaccia il collo ma lo orna. Perché dubitate e perché indugiate? Non lega la cervice con funi ma unisce la mente alla grazia. Non costringe per necessità, ma dirige la volontà al bene operare» (S. Ambrogio, Elia e il digiuno, c. 22).