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Lectio divina – Solennità del ss. Corpo e Sangue di Cristo – Anno A

Inserita il: 12/06/2020

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Gv 6, 51-58
“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”
 
51In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». 52Allora (lett.: dunque) i Giudei si misero a discutere aspramente (lett.: combattere) fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.  56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

CONTESTO E TESTO
Il sacramento del Corpo e del Sangue del Signore Gesù è memoria viva della sua Pasqua di morte e risurrezione, ed è espressione dell’Amore del Padre che ci dona il Figlio nella gratuità dell’Amore, e lo Spirito Santo che ci unisce in comunione e ci rende membra del Corpo vivente del Figlio. Nell’Eucaristia ci siamo tutti i battezzati.
 
I misteri della nostra fede sono inclusi l’uno nell’altro e ci conducono alla preghiera contemplativa della pienezza di Vita che scaturisce dalla Trinità Santa. Nell’Eucaristia riceviamo il dono della Parola e spezziamo il Pane, Cristo, che ci fa passare dalla morte alla vita, dal peccato alla grazia, dalle tenebre alla luce: ci fa gustare la Vita che non conosce le tenebre, la Vita che non muore.
 
Nel Vangelo, tratto da Giovanni 6, 51-58, Gesù si definisce: “Pane vivo disceso dal cielo”, e ci chiede di essere accolto e mangiato affinché possiamo avere la vita. L’Eucaristia è un dono di straordinaria grandezza, che non ha paragoni con tutti gli altri doni. L’Eucaristia che ci permette di nutrirci di Cristo stesso, del Suo Corpo e del Suo Sangue per essere, in Lui, figli del Padre, ricevere lo Spirito ed avere la Vita senza fine.

APPROFONDIMENTO DEL TESTO
Io sono il pane vivo (letteralmente: vivente), disceso dal cielo. Con quest’affermazione Gesù riassume quanto ha precedentemente detto: la sua origine celeste, la sua incarnazione e il suo donarsi come nutrimento a colui che crede. Pertanto chi mangia di Lui, che è il Pane vivente, vivrà in eterno. Ora Gesù rivela il momento in cui diviene nostro cibo. 
 
Il momento è la sua morte perché in quel momento Egli là diviene Carne donata per la vita del mondo. Come nell’Incarnazione il Verbo si è fatto Carne e ha posto la Dimora tra noi, così con il suo sacrificio il Verbo è divenuto Carne data per la vita del mondo e quindi diventa il Pane vivente che nutre chi lo mangia, dandogli la vita eterna.
 
Gesù afferma che la sua carne è per la vita del mondo. Il mondo può tornare a vivere in forza della Carne immolata di Gesù. La condizione essenziale per vivere è entrare in rapporto non solo con la sua Persona divina (la sua origine celeste) ma anche con la sua Carne umana che è donata, e quindi, con la sua morte sacrificale. La professione di fede del discepolo unisce in modo inscindibile l’origine divina di Gesù con la sua Croce.
 
Lo scandalo dell’Incarnazione ha nella Croce la sua manifestazione più shoccante. Solo con l’affrontare questo scandalo il mondo potrà vivere. S. Agostino rivela poi come l’effetto che il pane vivo - che è la sua carne - produce in noi è farci diventare Corpo di Cristo: «I fedeli conosceranno il Corpo di Cristo, se non trascureranno di essere essi stessi il Corpo di Cristo ... Chi vuol vivere, ha dove vivere e ha di che vivere. Si avvicini, creda, entri nel Corpo e parteciperà alla vita» (XXVI, 13).
 
Come conclusione (dunque) tratta dalle parole di Gesù, i Giudei, ora combattono tra loro. Non solo non hanno cessato di mormorare, ma si sono accesi e ora disputano violentemente. Oggetto di tale violenta discussione è ancora il come: “Come può costui darci al sua carne da mangiare”. Gesù è ora rifiutato e dichiarato estraneo. Dicono infatti: costui. Relazionarsi a Lui per mangiare la sua carne suscita un netto rifiuto. Relegati alla dimensione terrena sia in rapporto ai sacrifici che al pane, i Giudei non possono comprendere la realtà celeste e quindi rifiutano la morte sacrificale di Gesù e la conseguente consumazione della vittima. Gesù non ha ancora detto che devono mangiare la sua carne, ma essi lo deducono dal fatto che ha dichiarato di essere il pane vivo e che questo pane vivo è la sua carne.
 
Nonostante la loro resistenza Gesù prosegue nella sua rivelazione che è pedagogia d’iniziazione al mistero. Il dono del nutrimento dei cinque pani d’orzo e dei due pesci per cinquemila uomini aveva aperto il loro sguardo alla rivelazione, che stava per fare su di sé sulla sua origine divina, la sua discesa tra gli uomini come il Pane vivo. Ma essi, chiusi entro il confine delle Scritture, accolte come valore assoluto nella lettera, rifiutavano la lettura che Gesù ne faceva. Non cogliendo il senso spirituale delle Scritture, non potevano accogliere quello che Gesù diceva di sé appoggiandosi sull’autorità delle Scritture.
 
La nostra fede in Gesù è basata sul come noi leggiamo l’Antico Testamento. Chi lo legge solo secondo la lettera non può giungere alla fede perfetta nel Cristo. Chi invece lo legge secondo lo Spirito, che dà vita, giunge alla conoscenza perfetta del Cristo. 
 
Come conseguenza della loro dura reazione, Gesù contrappone la necessità di mangiare la carne del Figlio dell’uomo e di berne il sangue per avere in se stessi la vita. Egli è il Figlio dell’uomo, è il Verbo fattosi Carne, che deve essere sacrificato per la vita del mondo e in quanto donato e versato deve essere mangiato e bevuto per avere la vita. Questo passaggio obbligato scandalizza chi ascolta senza credere. Solo rapportandosi a Gesù come al Figlio dell’uomo e mangiando il pane del suo insegnamento si può accedere a questa conoscenza. Solo chi è nutrito dell’insegnamento evangelico può comprendere che cosa significhi mangiare la carne del Figlio dell’uomo e berne il sangue.
 
Come cresce la fede in Lui, così cresce la sua conoscenza. Chi lo conosce come il Figlio dell’uomo glorificato conosce pure che mangiarne la carne e berne il sangue è possibile solo in forza dello Spirito Santo. Solo lo Spirito rende presenti la Carne e il Sangue del Figlio dell’uomo perché divengano cibo e bevanda. Infatti è lo Spirito che suscita il desiderio insopprimibile di questo nutrimento.
 
Gesù dice ora in forma positiva quello che subito prima ha detto in modo negativo. Prima Egli si era rivolto ai suoi interlocutori, ora parla a tutti. Dicendo: Chi mangia ... chi beve. Egli parla di un’azione fisica il cui effetto non è ad essa proporzionato: la vita eterna, la cui piena manifestazione sarà la risurrezione nell’ultimo giorno. Non c’è nulla di più semplice che mangiare e bere, eppure questo gesto implica un coinvolgimento totale di noi stessi. Il culmine della nostra fede è questo. Infatti non solo noi dobbiamo credere che il come la sua carne sia cibo e il suo sangue bevanda sia davvero «mistero», ma anche siamo chiamati ad accogliere questo mistero come l’unico rapporto che ci fa entrare nella vita ed essere da Lui risuscitati nell’ultimo giorno. Questo è dunque il modo che Gesù ha scelto per restare con noi e assimilarci a Lui.
 
Così infatti insegna s. Tommaso d’Aquino: «Mangia spiritualmente la carne e beve il sangue, rispetto a Cristo là contenuto e significato, chi a lui si unisce con la fede e la carità, per trasformarsi in lui e divenire membro di lui. Poiché questo cibo non si trasforma affatto in colui che lo assume, ma trasforma in sé chi lo mangia ... Perciò è un cibo in grado di rendere l’uomo divino, e di inebriarlo con la sua divinità».
 
Noi possiamo mangiare la sua carne perché è vero cibo e bere il suo sangue perché è vera bevanda. Il termine vero sta in rapporto alla carne del Figlio dell’uomo con quella dei sacrifici legali. Come infatti, con la sua entrata nel mondo, i sacrifici sono aboliti (cfr. Eb 10,5-10), così ne è abolita la comunione, che è sostituita con quella alla carne di Cristo.
 
Il sangue però, per un’esplicita proibizione della Legge, non veniva bevuto, ma era sparso. Gesù invece ci comanda di bere il suo sangue perché è vera bevanda. Noi, a differenza degli antichi sacrifici, dobbiamo mangiare la sua carne e bere il sangue perché è con Lui che entriamo in comunione. Perché non si entrasse in comunione con la vita di animali sacrificati si proibiva di berne il sangue, noi invece, per il fatto che entriamo in comunione con la vittima divina, dobbiamo berne il sangue. 
 
S. Agostino così interpreta: «Gli uomini cercano nel cibo e nelle bevande di che calmare la loro fame e la loro sete, ma questi effetti non possono essere dati pienamente altro che da quel cibo che rende, chi ne mangia, immortale e incorruttibile, cioè lo introduce in quella società dei santi dove troverà la pace e l’unione piena e perfetta» (XXVI, 17).
 
Gesù ora rivela quale effetto produce l’azione del mangiare la sua carne e del bere il suo sangue: dimora in me e io in lui. Dimorare in Lui significa essere in Lui e dove Lui è; è dimorare nel suo mistero, cioè nella sua Passione, Morte e Risurrezione. Mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue, noi ci dilatiamo nell’infinito essere di Gesù perché siamo liberati dal potere della morte. Che Gesù dimori in noi significa che Egli si restringe entro i confini della nostra esistenza ancora dominata dalla morte e assediata dalla seduzione del peccato e della tentazione del principe di questo mondo, ma per sconfiggerli e donarci la vita senza fine. 
 
Come nell’Incarnazione il Verbo svuotò se stesso entro i limiti della Carne, che da noi aveva preso, e si è fatto in tutto simile a noi fuorché nel peccato (cfr. Ebr 4,15), così ora il Cristo glorioso continua a svuotarsi nei suoi finché non li abbia portati tutti nella sua Gloria. Conferma questo la sua stessa parola rivolta a Saulo sulla via di Damasco: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9,4). Segno di questo svuotamento è la sua carne data in cibo e il suo sangue versato nel calice come bevanda. Il sacramento, che noi chiamiamo Eucaristia, è il segno del suo svuotamento in noi e del nostro riempirci di Lui. Dimorando noi in Gesù diventiamo uno con Lui e, dimorando Egli in noi, diviene uno con noi. In questo modo si attua la parola: e i due saranno una sola carne (Gen 2,24).
 
Gesù fa ora un paragone la cui comprensione non è immediata. Anzitutto Egli chiama il Padre il Vivente. Ora il Padre, il Vivente, lo ha inviato come il Pane vivo che dà la vita al mondo. La vita che è in Gesù è la stessa del Padre, dice infatti: E io vivo per il Padre. Non è quindi una vita parzialmente partecipata ma è la sua stessa vita. Allo stesso modo chi lo mangia vivrà per Lui. Chi, credendo, lo mangia nella Parola e nel Sacramento avrà in se stesso la vita in Gesù, che è quella del Padre. A questo corrispondono le parole dell’apostolo Paolo: la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio (Col 3,3). Se noi contempliamo il Cristo inviato in una carne preparata per il sacrificio, noi annunciamo in Lui annientato tutta la vita del Padre. Il Padre vive tutto nel Figlio immolato e questi, nel suo svuotamento, vive tutto nel Padre. La vita divina non subisce mutazione e neppure diminuzione. Allo stesso modo chi mangia Gesù in tutto quello che subisce di svuotamento di sé e nello stesso annientamento della morte non è mai privato della vita divina con Gesù. 
 
Che poi Egli dica: vivrà per me e non «vive per me», questo rileva la fondamentale differenza tra Lui e noi: Egli vive pienamente per il Padre al punto di essere la Vita, noi invece cresciamo nella sua vita e giungeremo alla pienezza nella risurrezione. «Egli non diviene infatti qualcosa di più partecipando alla vita del Padre, egli è nato uguale al Padre noi invece cibandoci di lui viviamo per mezzo di lui, in quanto riceviamo in lui la vita eterna che non avevamo in noi stessi» (Agostino, XXVI, 19).
 
Nelle parole conclusive Gesù mette ancora a confronto i due pani in  modo che appaia chiaro quale sia quello vero. Quindi non si tratta di un nuovo dono della manna. Questa infatti non può dare la vita; lo dimostra il fatto che i padri morirono. Come il pane benedetto all’inizio, così la manna appartiene a questa creazione e quindi non ha in sé la forza di vincere la morte. Ad essa si contrappone il pane disceso dal cielo, che dà la vita stessa a chi ne mangia. Gesù mostra in se stesso e nelle sue parole di essere questo vero pane disceso dal cielo. 
 
In virtù della sua discesa dal cielo divenendo Carne, della sua morte che lo fa essere Carne data e del suo continuo stare con noi nei segni eucaristici, Gesù è il vero pane capace di far vivere in eterno. Questo si riferisce quindi a questo lungo e meraviglioso discorso dove il Signore rivela in se stesso la natura del vero pane. 

 




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