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Lectio divina della Domenica di Pentecoste – Anno A

Inserita il: 28/05/2020

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 Gv 20, 19-24
“Soffiò e disse loro: ricevete lo Spirito Santo”

 
 
19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!". 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo; 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

 
CONTESTO E TESTO
La solennità di Pentecoste celebra la Terza Persona della Santissima Trinità: lo Spirito Santo, il Dono per eccellenza, l’autore della comunione trinitaria e della comunione tra noi e con la Trinità. 
 
L’apostolo Giovanni narra gli accadimenti della conclusione del giorno della risurrezione di Gesù, il primo della settimana: è sera e Gesù si presenta a porte chiuse, saluta dando la pace e mostrando le mani e il costato. È proprio Lui, il Signore Risorto che con la sua presenza colma di gioia i discepoli. Poi soffia su di loro e dona lo Spirito Santo, che permetterà alla Chiesa di perdonare i peccati.

APPROFONDIMENTO DEL TESTO
Ora l’evangelista ci narra quanto accadde la sera di quel giorno, il primo della settimana. Perché mai Gesù fu con i suoi solo alla sera? Forse perché di sera Egli fece la cena, nella quale con la lavanda dei piedi e con i discorsi che ne seguirono Gesù introdusse i discepoli ai divini misteri. Ora Egli porta a compimento sia le parole che ha detto loro tre sere prima sia i segni dell’iniziazione (cfr. 14,20; 16,23.26).
 
Le porte erano chiuse per il timore dei giudei. Nonostante le assicurazioni di Gesù e l’annuncio dato dal discepolo da Lui amato e da Maria di Magdala, i discepoli se ne stanno a porte chiuse perché hanno timore dei giudei. Il timore, che i giudei incutono, è più nell’ordine spirituale; infatti l’evangelista ha già riferito della scomunica data a chi riconosce Gesù come Messia (cfr. 9,22; 12,42). 
 
L’incredulità dei giudei e il loro rifiuto di Gesù è una forza negativa che blocca i discepoli tenendoli chiusi in casa. Nei discepoli infatti manca la franchezza dell’annuncio perché sono paralizzati da questa paura.
 
Anche noi possiamo avere timore dei diversi da noi, in quello che ci differenzia radicalmente da loro ed è il fatto che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio. Anche la confessione della fede può essere paradossalmente fatta per timore, quasi per un moto di orgoglio che vuole esorcizzare la paura; in questo modo essa diventa una professione di fede che non nasce dall’intimo del rapporto con il Signore e dalla gioia dell’incontro con Lui, ma sgorga dalla differenziazione che ci fa sentire diversi e addirittura superiori. 
 
La fede allora si mescola con il fanatismo e il fondamentalismo e la gloria di professare il Nome di Gesù come superiorità e dominio sull’altro. In questo luogo chiuso dalla paura, espressione del loro sentire, prigione della loro incredulità, venne Gesù senza aprire le porte e stette in mezzo e dice loro: «Pace a voi!». Egli si fa presente in questo spazio segnato dalla paura e dalla chiusura. Egli viene portando la pace.
 
La pace che viene da Gesù, in cui è pienezza di ogni benedizione divina, riempie questo spazio, comincia a dissipare la paura e apre i discepoli. Come il sepolcro si presentò agli occhi dei discepoli con la pietra ribaltata, così la presenza di Gesù tra noi ribalta la pietra, che ci tiene sigillati nelle nostre paure, rendendoci capaci di testimoniare che il Signore è risorto.
 
Con il primo saluto di pace Gesù mostra il suo corpo glorioso e risorto, corpo non immateriale ma fisico sebbene non soggetto alle leggi dello spazio e del tempo, entra infatti a porte chiuse. Dalla pace e dalla Sua presenza scaturisce la gioia, la pienezza della gioia. Dopo aver dato loro la pace, Gesù mostrò le mani e il fianco. Egli fa loro vedere il foro dei chiodi e la ferita del costato. 
 
Gesù è per sempre il Crocifisso; per sempre la sua croce è impressa nella sua carne e per sempre rimane impressa nella mente e nel cuore dei discepoli. Agostino commenta: «I chiodi avevano trafitto le sue mani, e la lancia aveva aperto il suo costato; ed erano conservati i segni delle ferite per guarire dalla piaga del dubbio i cuori degli increduli. E le porte chiuse non avevano potuto opporsi al suo corpo, dove abitava la divinità. Colui, la cui nascita aveva lasciato inviolata la verginità della madre, poté entrare in quel luogo, senza che le porte venissero aperte» (CXXI,4).
 
Quanto i discepoli ora vedono - e anche Tommaso vorrà vedere - costituisce l’essenza dell’annuncio evangelico: Gesù Cristo e questi crocifisso (1 Cor 2,2). Essi contemplano il Crocifisso nella gloria della sua risurrezione per cui i discepoli gioirono al vedere il Signore: “Anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi domanderete più nulla”. (Gv16,22-23). 
 
La pace, che il Signore ha loro dato, ha sanato le ferite della colpa di essere fuggiti lasciandolo solo e ora vedono quelle ferite nel loro Signore che, anziché dar loro amarezza, infondono gioia nello loro spirito. I discepoli non avvertono nel loro Maestro nessun rimprovero ma solo il grande amore con cui li ama e questo li fa gioire. Sulle labbra di Colui, che è mite e umile di cuore, non c’è nessuna parola amara ma solo la piena realizzazione delle sue stesse promesse.
 
Questa è la redenzione, che Egli opera in noi, portarci all’oblio delle nostre colpe e ristabilirci nell’innocenza pura del nostro essere in Lui, che ci porta negli abissi della divinità. I discepoli gioiscono perché sono da Lui attratti e strappati con forza dal loro sepolcro di paura e di tristezza. Gesù li attrae a sé e li fa uscire dalla voragine della morte, che tende a riassorbire la nostra esistenza attraverso la forza seduttiva del peccato.
 
Essi, il gregge, che il satana aveva disperso quando il Pastore era stato colpito, vengono ora attratti da Gesù per costituire quell’uno che è il contenuto della sua preghiera al Padre. Usciti dal loro sepolcro, in cui si erano rinchiusi, ora i discepoli gioiscono al vedere il Signore perché in forza di Lui, che ha vinto la morte e che porta in sé i segni della vittoria, essi stessi vengono alla vita e alla comunione. E dovunque vi è la vita vi è la gioia.
 
Gesù dona loro per la seconda volta la pace. Agostino commenta: «La ripetizione ha valore di conferma; cioè Egli dà ciò che era stato promesso per bocca del profeta, pace aggiunta a pace (cfr. Is 26,3)» (CXXI,3). Prima Egli aveva dato loro la pace per sanare le loro ferite, ora Gesù la dona ad essi perché i discepoli, a loro volta, la donino agli uomini. Essi possono donarla perché da Lui amati ed inviati. Unica è la missione dei discepoli e quella del Cristo. Questa consiste nella presenza del Signore attraverso i suoi discepoli: «In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». (cfr. Mt 25, 40). 
 
Stabilendo un’esatta uguaglianza tra il suo invio dal Padre e quello dei discepoli da parte sua, Gesù esprime l’unità inscindibile tra il Padre, se stesso e i suoi discepoli. Sorgente della missione di Gesù è il Padre, sorgente della missione dei discepoli è il Figlio. Il rapporto con il Padre da parte dei discepoli è sempre mediato da Gesù (cfr. 1 Tm 2,5). 
 
L’unico che il Padre manda è il Figlio e in Lui Egli invia sia lo Spirito che i discepoli. Infatti Gesù dona lo Spirito Santo ai discepoli perché in loro sia la forza stessa, che è in Lui. L’unica missione, iniziata in Gesù, continua ora nei suoi discepoli.
 
Più i discepoli sono uniti con Gesù più appare l’unica missione. La continuità non è successione perché Gesù è presente nei suoi e, in loro, Egli continua a compiere le opere del Padre suo. I suoi discepoli faranno opere maggiori di Lui perché è Gesù che attraverso loro porta a compimento la sua opera: “In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre” (cfr. Gv 14,22).
 
La pace, che Egli comunica, ha pertanto un duplice effetto: li risana e li rende capaci di annunciare l’evangelo della pace. Questa è l’opera che Gesù compie nei suoi discepoli anche oggi e sempre: li risana dalle tristi conseguenze del peccato che generano chiusura e tristezza e li rende capaci di essere annunciatori dell’evangelo. 
 
Vi è quindi questa duplice operazione che la pace di Gesù opera in noi. Egli vuole che l’annuncio sia effetto della salvezza e che scaturisca come sorgente pura dello Spirito Santo da persone risanate. Ma nessuno può annunciare se non riceve per la seconda volta il dono della pace. Nessuno può infatti andare se Gesù non lo manda.
 
Soffiò, è il verbo usato nella creazione dell’uomo. Nei LXX è scritto: e soffiò verso il suo volto un soffio di vita (Gn 2,7). Qui il testo non precisa che il Signore abbia soffiato verso di loro, ma usa il verbo in modo assoluto. Dopo aver collegato con quanto precede con l’espressione: e dopo aver detto questo, il testo aggiunge soffiò e dice loro.
 
Questo soffio del Signore investe sì i discepoli ma non solo. Come morendo Egli ha dato lo Spirito effondendolo in tutta la creazione (cfr. 19,30), così ora, risorto, Gesù soffia e il suo soffio si effonde su tutta l’umanità e su tutta la creazione. Notiamo come nella traduzione dei LXX questo verbo è sempre usato in rapporto a un oggetto a cui è diretto il soffio, solo in Gv vi è un uso assoluto. 
 
Per il fatto che l’evangelo non precisi il soggetto indica l’universalità del dono, che, pur passando per i discepoli, tuttavia non si ferma a loro, come ci dimostrano gli scritti neotestamentari. In loro il soffio dello Spirito Santo, che proviene dalle labbra di Gesù, ha il suo luogo di effusione.
 
Dato che in Gesù lo Spirito Santo ha la sua sorgente, per cui non si dà presenza dello Spirito Santo se non attraverso Gesù solo, così lo Spirito è effuso in ogni uomo tramite i discepoli. L’unica missione del Cristo consiste nell’essere portatori dello Spirito Santo, che dal capo si diffonde in tutto il corpo e da qui, come olio buono (cfr. Sal 133,2), si diffonde in tutta la casa. Essa si riempie così del profumo del miron (cfr. 12,3).
 
L’unica vite vera (cfr. Gv 15,1) manda profumo (cfr. Ct 2,13: le viti fiorite spandono fragranza). Origene commenta: «Il Padre, agricoltore celeste, pota i tralci di questa vite perché portino molto frutto. Ma prima questa vite allieta l’odorato con la dolcezza del profumo che emana dal fiore, secondo colui che diceva: Poiché siamo buon odore di Cristo in ogni luogo (2 Cor 2,15)» (commento al Cant., op. cit., p. 254). Questo soffio quindi si effonde benefico su tutta la creazione eliminando il soffio della morte e il principio di essa, che è il peccato.
 
Il dono dello Spirito Santo è l’inizio della nuova creazione. Questa si manifesta con la remissione dei peccati, nei quali si esprime il potere della morte. Le parole del Signore, che sono Spirito e vita (cfr. 6,63), distruggono il potere della morte e del peccato. Anche in Lc, quando il Signore fa una sintesi del messaggio della Scrittura a suo riguardo, presenta la conversione per la remissione dei peccati (24,47) come il frutto della sua risurrezione.
 
Tra lo Spirito Santo e i discepoli si crea un vincolo così forte che la remissione dei peccati passa attraverso di loro. Questa quindi si manifesta attraverso la comunità dei discepoli e dona a chi la riceve la pace del Cristo. La realtà del peccato è quindi incessantemente distrutta nella comunione ecclesiale. Gesù dà pure il potere opposto, quello di ritenere i peccati. Essi quindi restano in colui che li ha compiuti. L’Evangelo non precisa quando questo avvenga. 
 
Stando alla prima lettera di Giovanni uno degli ostacoli maggiori è l’odio verso il fratello che rende omicidi come Caino. Il peccato quindi non è racchiuso solo nella sfera personale, ma implica sempre un rapporto e come tale è solo attraverso un rapporto che può essere rimesso. Il luogo pertanto dove lo Spirito rimette o trattiene i peccati è la comunità dei discepoli di Gesù. 
 
Tutto questo avviene credendo in Gesù e attraverso la rigenerazione battesimale. Rimane invece trattenuto nel potere della morte chi rifiuta di credere in Cristo e non vuole essere rigenerato dall’acqua e dallo Spirito.
 
La comunità dei discepoli, infatti, con il suo annuncio di Gesù, resta il luogo dove il Maestro continua il rapporto con il mondo perché è attraverso i discepoli che lo Spirito convince il mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio (cfr. 15,26 s.). S. Agostino commenta: «A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti. La carità della Chiesa che per mezzo dello Spirito Santo scende nei nostri cuori, rimette i peccati di coloro che partecipano di essa; ritiene invece i peccati di quanti non sono parte di essa. È per questo che parlò del potere di rimettere o di ritenere i peccati, dopo aver annunziato: “Ricevete lo Spirito Santo”» (CXXI,4). 

 




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