Lectio divina della Ascensione del Signore – Anno A
Inserita il: 21/05/2020
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Mt 28, 16-20
“Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”
In quel tempo, 16gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato.
CONTESTO E TESTO
La liturgia della Parola della domenica dell’Ascensione del Signore ci permette di contemplare questo mistero che avviene 40 giorni dopo la Pasqua. Mistero di cui abbiamo un racconto dettagliato proprio all’inizio degli Atti degli Apostoli: Cristo Risorto offre il proprio continuo conforto ai discepoli mantenendo fede alle promesse fatte in precedenza e richiamando i battesimo di Giovanni Battista.
Nella seconda lettura l’apostolo Paolo scrivendo agli Efesini, invoca il Signore perché illumini gli occhi della loro mente per poter comprendere a quale speranza sono stati chiamati divenendo discepoli.
Nel Vangelo Matteo, ci racconta come l’Ascensione di Gesù coincide con l’invio dei discepoli in missione, missione che si compie solo con il dono dello Spirito Santo e la promessa che Cristo sarà con noi per sempre.
APPROFONDIMENTO DEL TESTO
Gli undici discepoli, dicendo undici si riferisce agli apostoli, chiamandoli discepoli (cfr. 10,1) sottolinea che sono la primizia dei discepoli; loro compito, infatti, è fare discepole tutte le genti (19), andarono in Galilea, chiamata Galilea delle genti (cfr. 4,15), da dove era scaturita la luce dell’evangelo. Il termine scandisce la pericope: è il comando dato dall’evangelo (cfr. 7) e da Gesù stesso (cfr. 10); è l’unica apparizione del Risorto riportata da questo vangelo. La localizzazione acquista notevole importanza per la continuità storica tra l’annuncio del Signore Gesù e quello dei discepoli e sia come inizio dell’evangelizzazione spostata da Gerusalemme alla Galilea(Lc - At).
L’ordine di Gesù qui è precisato: sul monte che Gesù aveva loro indicato. Si radunano sul monte creando una contrapposizione con il monte dove il diavolo gli aveva mostrato a Cristo tutti i regni del mondo chiedendogli l’adorazione (cfr. 4,8-10); sul monte Gesù aveva dato ai discepoli la legge evangelica (cfr. 5,7); sul monte aveva mostrato la sua gloria (cfr. 17,1-8). Il monte è sempre simbolo della vicinanza tra Dio e l’umanità.
Quando lo videro, si prostrarono, come Maria di Magdala e l’altra Maria (cfr. 9). I suoi discepoli lo riconoscono Signore, come egli dice in seguito. Dopo l’adorazione il testo aggiunge: Essi però dubitarono. Questa parola coglie un aspetto tipico delle apparizioni divine e quindi anche del Risorto. Pur mostrandosi visibile, egli resta sempre oggetto della fede e quindi di ciò che infirma la fede, cioè il dubbio.
Infatti questo aspetto del dubitare, che equivale a non credere, è messo in luce dagli altri vangeli. Mt, presentando un’unica apparizione, ci rivela che anche questa, come le altre, non fu esente dal loro dubbio. Gesù non coglie, come fa altrove (vedi 14,31 con Pietro: «O tu di poca fede, perché hai dubitato?», questo stato di esitazione dei discepoli perché il discorso converge verso la sua manifestazione come Signore e la conseguente missione degli undici discepoli. Altri traducono: «Essi che avevano dubitato delle parole delle donne» oppure secondo Teofilatto, «coloro che lo adorarono in Galilea, avevano prima dubitato in Gerusalemme».
Gesù si avvicinò e disse loro. Si avvicina come maestro ai discepoli e come primogenito tra i fratelli. Qui non si parla di timore perché, ancora una volta, nasconde la sua gloria di risorto. Mi è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra, come è scritto del Figlio dell’uomo; a lui il vegliardo «diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano (Dan 7,14). A me è stato dato dal Padre ogni potere come è detto: il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto (ivi); in cielo come insegna l’apostolo: Lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro (Ef 1,20-21).
L’angelo al sepolcro ne è stata la prova; e sulla terra, come è scritto nel Sal 2, 8: Chiedi a me, ti darò in possesso le genti, e in dominio i confini della terra. Come le possiede e le domina? Ora con la potenza dell’evangelo; quando verrà nella sua gloria con lo scettro di ferro (ivi, 9).
Andate dunque, in virtù di questo potere del Cristo, che non conosce limiti nel tempo e nello spazio, fate discepoli tutti i popoli o nazioni. Nazioni sono i popoli esclusi dalla salvezza. Ora che il vero Israele è stabilito sui dodici apostoli, il termine di confronto in seno all’umanità non è più Israele secondo la carne, ma la Chiesa formata da Israele e dalle Genti. Colui che si era racchiuso entro i confini d’Israele per adempiere la missione d’inviato alle pecore perdute della casa d’Israele, ora manda i suoi discepoli a tutte le nazioni per farne dei suoi discepoli. Questo rapporto di obbedienza e di sequela è quanto caratterizza la comunità messianica.
Battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e del Santo Spirito. è la formula battesimale. Essa risuona sulle labbra di Gesù. Colui che s’immerge nelle acque battesimali entra dentro il mistero di Dio. Non solo è battezzato nel nome di Dio, che vorrebbe dire conoscere Dio come l’unico, ma nel nome del Padre e del Figlio e del Santo Spirito, che significa conoscere nell’unico Dio la Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
Infatti il singolare nel nome designa l’unico Dio, come dice Eutimio: «L’unico nome dei tre denota l’unica natura della santa Trinità» (CAL p. 567). Così la divinità del Figlio è conosciuta e adorata come la stessa del Padre e dello Spirito Santo. È qui il compimento dell’esperienza del discepolo che con il battesimo viene iniziato a questa conoscenza intima di Dio. Ed è qui che l’evangelo stesso tocca il suo vertice: il discepolo entra in comunione non solo con il Maestro conosciuto e adorato come il Figlio ma, nel Figlio con il Padre per il dono dello Spirito. Questo è tutto. Pare qui espressa tutta l’iniziazione: fare discepoli del Cristo, battezzarli e infine insegnare. Le tre azioni non sono successive nel tempo, ma si compenetrano e si completano a vicenda.
Insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. È l’inizio della tradizione orale che diverrà presto scritta. Il contenuto dell’insegnamento è “tutto ciò che Gesù ha comandato ai discepoli”, come è detto in Dt 4,2: Non aggiungerete nulla a ciò che vi comando e non toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore Dio vostro che io vi prescrivo. Mosè comanda a Israele dicendo: «I comandi del Signore Dio vostro», il Signore Gesù dice: «Tutto ciò che vi ho comandato»; aveva infatti detto: «È stato detto ma io vi dico». Notiamo anche qui la differenza tra Mosè e il Signore Gesù. Poiché dice “tutto” non dobbiamo temere che ci sia qualcosa che egli abbia insegnato e non ci sia stato trasmesso.
Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Ed ecco, indica presenza immediata, io sono con voi, nella vostra missione tra le genti; questa perciò riuscirà e penetrerà nei popoli, non in virtù dei discepoli, ma per la presenza di Gesù con loro; essi non dovranno mai retrocedere perché Egli mai si allontana da loro. Attraverso uomini deboli, quali gli undici, si mostrerà tutti i giorni la potenza del Cristo. Questa è la loro sicura speranza fino alla fine del mondo. Questa infatti non è segnata da leggi fisiche intrinseche, ma dalle leggi della salvezza legata all’Evangelo.
Ora sui discepoli, come sul Carro della Gloria, corre la potenza dell’evangelo che rivela alla genti la gloria del Figlio dell’uomo. La pienezza della teofania sarà la fine del mondo. Vieni, Signore Gesù!
Cerchiamo di rinnovare l’atto di fede basilare: che cosa crediamo noi? Il Signore nel discorso dell’ultima cena con molta insistenza dice che l’atto di fede fondamentale è di credere che Egli è uscito dal Padre, che è venuto dal Padre e a Lui ritorna. Ora noi sappiamo bene che venuti dal Padre siamo anche tutti, tutti noi siamo venuti dal Padre. È stata la volontà del Padre che ci ha fatto esistere e che ci fa vivere in questa vita, quindi c’è un senso in cui tutti noi siamo venuti dal Padre.
Ma allora che cosa vuol dire il Signore quando dice che l’atto di fede fondamentale - e ci gira intorno incessantemente in tutti i capitoli di Giovanni, dal 13 in avanti, - è il credere che Egli è venuto dal Padre? Vuol dire che Egli è venuto dal Padre in un modo tutto personale, assolutamente diverso da quello in cui ogni altra creatura, noi compresi, è venuto dal Padre. Cioè che egli è venuto dal Padre nel senso che è della stessa sostanza del Padre. Che veramente Lui e il Padre sono ed erano una cosa sola, ed erano una cosa sola prima che il mondo fosse, prima quindi che tutte le creature venissero dal Padre.
Questo è il nostro atto di fede fondamentale: credere che Gesù è venuto dal Padre in questo senso. Allora l’Ascensione che cos’è nella sua immediatezza più diretta in rapporto alla base della rivelazione? L’Ascensione è il ritorno di Gesù al Padre in questo senso tutto particolare e fortissimo. Per cui Lui, la sua umanità, la sua realtà globale, totale, tutto il suo essere, venuto dal Padre, ritorna al Padre.
Come è venuto dal Padre senza mai uscire dal Padre, senza mai separarsi da Lui in quanto alla sostanza, così ora ritorna al Padre nel senso che si realizza pienamente in Lui anche in un modo storico, per la sua umanità, questo reingresso nel seno del Padre, da cui è uscito e in cui è, a un tempo, da tutta l’eternità.
Dunque il mistero dell’Ascensione è il ritorno di Gesù al Padre, di cui noi possiamo misurare la portata nella stessa misura in cui noi crediamo che Gesù è uscito dal Padre.
Quanto più per noi si precisa, si approfondisce, diventa non solo pensiero, ma vita, l’esperienza di questa unicità della venuta di Gesù dal Padre, in questo modo assolutamente unito e personalissimo in cui Lui è venuto dal Padre, tanto più noi possiamo capire l’Ascensione, capire cosa vuol dire l’Ascensione come ritorno di Gesù al Padre. Questo è l’atto di fede fondamentale.
Gesù è venuto dal Padre, Gesù ritorna al Padre in questo senso assolutamente unico e personalissimo. Ora questo che è l’atto di fede fondamentale, nel suo proprio nucleo, quello che poi conta che noi crediamo conta che soprattutto noi viviamo sperimentiamo nella nostra vita di fede, si complica nello stesso linguaggio della Scrittura con un’altra coppia di concetti che in un certo modo è simmetrica a questa: venuto, ritornato; cielo e terra. Ed ecco perché è molto importante renderci conto di che cosa vuol dire questa “Ascensione” di Gesù al “cielo”, di questa attesa da parte dei discepoli e dei cristiani di Gesù dal cielo.
IN ASCOLTO DEI PADRI NELLA FEDE
“Durante tutto questo tempo, carissimi, intercorso tra la Risurrezione del Signore e la sua Ascensione, ecco dunque a cosa volse le sue cure la Provvidenza di Dio; ecco ciò che essa volle insegnare; ecco ciò che essa mostrò agli occhi e ai cuori dei suoi; perciò si riconoscerà come veramente risorto il Signore Gesù Cristo che era davvero nato, aveva sofferto ed era morto. Così i beati Apostoli e tutti i discepoli, resi timorosi dalla sua morte sulla croce, e che avevano esitato a credere alla sua Risurrezione furono a tal punto riconfermati dall’evidenza della verità che quando il Signore si levò verso le altezze dei cieli, non solo non furono presi da tristezza alcuna, bensì furono ripieni da una grande gioia (cf. Lc 24,52). E, in verità, grande e ineffabile era la causa di quella gioia, allorché in presenza di una santa moltitudine, la natura umana saliva al di sopra delle creature celesti di ogni rango, superava gli ordini angelici e si elevava al di sopra della sublimità degli arcangeli (cf. Ef 1,21), non potendo trovare a livello alcuno, per elevato che fosse, la misura della sua esaltazione fintanto che non venne ammessa a prender posto alla destra dell’eterno Padre, che l’associava al suo trono di gloria dopo averla unita nel Figlio suo alla sua stessa natura. L’Ascensione di Cristo è quindi la nostra stessa elevazione e là dove ci ha preceduti la gloria del capo, è chiamata altresì la speranza del corpo.
(Leone Magno, Sermone 73 [60], 2-4)
“Comprendere la Risurrezione di Gesù, la sua Glorificazione e la sua Ascensione, vuol dire penetrare il mistero più intimo dell’essere di Dio, sentire tutte le persone esistenti in Lui, acquisirne progressivamente - per il Cristo che è entrato in Dio - l’esperienza di Dio Padre. La nostra esperienza prima di tutto, di noi stessi in Dio per il Cristo, e poi l’esperienza di tutti gli altri esseri, per il Cristo, in Dio. Di modo che non si può dare più nessun’altra unità con gli altri esseri, se non un’unità che sia adeguata a questa esperienza del nostro rapporto col Cristo in Dio. Ecco perché tutti gli altri nostri rapporti divengono assorbiti e condizionati da quest’esperienza del Cristo in Dio. Noi non possiamo più avere rapporti di unità con un’altra creatura, se non mediatamente al Cristo stesso. Anzi al Cristo in Dio”.
(Don Giuseppe Dossetti)