Lectio divina della IV Domenica di Pasqua - Anno A
Inserita il: 30/04/2020
0 commentario(i) ...
Gv 10, 1-10
“In verità, in verità io vi dico:
io sono la porta delle pecore”
In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.
CONTESTO E TESTO
La liturgia della Parola della 4° domenica di Pasqua ci fa contemplare il Cristo Risorto nelle sembianze del Bel Pastore, e nell’anno A, il testo del Vangelo di Giovanni ci presenta i primi versetti del capitolo 10, in cui Gesù si presenta come la porta, attraverso la quale ci è stato aperto il Regno del Padre. Il Pastore, quello bello, con il suo sacrificio è venuto a cercare noi creature umane, che come pecore disperse avevamo smarrito la strada del ritorno alla casa del Padre.
Gesù si presenta come Pastore che entra nell’ovile attraverso la porta e non di nascosto come fanno i briganti. Anzi, Egli stesso è la Porta che ci permette di entrare alla presenza del Padre, passando attraverso di Lui incontriamo il Padre che ci accoglie e ci rende figli amati.
APPROFONDIMENTO DEL TESTO
Con un’introduzione solenne (Amen, amen, vi dico), Gesù afferma che l’ingresso legittimo nell’ovile delle pecore è la porta. Voler entrare da un’altra parte significa essere ladri e briganti. Gesù vuole mostrare ai farisei come Egli stia entrando per la porta nell’ovile in cui Israele è custodito come gregge del Signore. Egli non usa la violenza di un ladro e neppure uccide come un brigante. Al contrario Gesù fa del bene alle pecore del gregge. La luce che Egli ha dato al cieco nato e la cecità che colpisce coloro che credono di vedere, dimostrano come Egli sia il pastore del gregge.
Entrare per la porta significa pertanto ricevere la testimonianza delle divine Scritture che presentano il Pastore che raduna il gregge disperso e lo conduce con segni di vittoria a Gerusalemme. I farisei, se osservano attentamente, possono vedere in Gesù le caratteristiche del pastore delle pecore. Avere gli occhi aperti, cioè intelligenza spirituale, è verificare come coloro che si rapportano a Israele e si definiscono pastori entrino nell’ovile per la porta. Chi entra senza fare violenza e facendo del bene, questi è il pastore. Egli entra per la porta, cioè attraverso la conferma delle Scritture.
Purtroppo, rifiutando Gesù come il Pastore, i giudei sceglieranno Barabba che era un brigante (cfr. Gv 18,40). Rifiutare le evidenze delle Scritture, che gli danno testimonianza, significa indurirsi nel cuore ed essere ciechi. È quanto è accaduto a Israele. I suoi capi, che hanno rifiutato Gesù, sono stati coperti da un velo che impedisce loro la piena intelligenza delle Scritture (cfr. 2Cor 3,15-17). Gesù solo invera e dà pienezza alle Scritture: quindi capi e dottori della Legge non possono relazionarsi a Israele senza di Lui. Ogni relazionarsi senza di Lui trasforma le Scritture in un giogo insopportabile.
Appare ora la figura del portinaio. Questi conosce il pastore delle pecore e a lui solo apre la porta. Possiamo chiederci chi sia il portinaio che riconosce il Pastore. Se Gesù è il pastore, chi è il guardiano della porta che lo riconosce e gli apre la porta? Gli esegeti moderni temono di caricare di troppa simbologia la parabola per cui non si soffermano su questa figura. Ma i Padri della fede danno invece importanza, come s. Tommaso: «Questo portinaio, secondo Crisostomo (In Gv, omelia. 59,2), è colui che introduce alla conoscenza della Sacra Scrittura; e il primo fu Mosè, il quale per primo ricevette e istituì le Sacre Scritture. Questi apre a Cristo; poiché come è stato scritto sopra: “Se credeste infatti a Mosè, credereste anche a me; perché di me egli ha scritto” (5,46). E sant’Agostino (Nel commento a Gv.) afferma che il portinaio è Cristo medesimo; perché Egli è colui che introduce gli uomini a se stesso. Dice il santo: «Apre a se stesso colui che rivela se stesso» (1371).
Il senso delle Scritture si apre solo a chi accoglie il Cristo. Una volta che Egli è entrato nell’ovile delle pecore, perché il Verbo si è fatto Carne, le pecore ascoltano la sua voce. Finora esse avevano ascoltato la voce di Mosè e dei profeti, ora ascoltano la voce del Pastore, ma non tutti l’accolgono. Venne tra i suoi, quelli di sua proprietà, ma i suoi non l’hanno accolto (Gv 1,11). Per questo Egli chiama per nome le sue pecore e le conduce fuori dall’ovile d’Israele, cioè dal dominio della Legge.
Coloro che ascoltano la sua voce e sono da Lui chiamati per nome lo conoscono, come accadde a Maria di Magdala al sepolcro (cfr. Gv 20,16). Questi gli appartengono e solo questi fa uscire dall’ovile. Quelli che in Lui credono e sono da Lui chiamati non sono più custoditi nell’ovile d’Israele, cioè sotto la Legge, ma seguono il Cristo nella libertà dell’Amore perché ne ascoltano la voce e si nutrono della sostanza evangelica.
Nessuno di coloro che gli appartengono resta all’interno del recinto d’Israele. Il pastore chiama tutti i suoi per nome e li conduce fuori. Solo quelli, che il pastore chiama per nome, possono uscire dal potere della Legge, fine a se stessa, e da quello delle tenebre. Uscendo essi s’incamminano verso un nuovo esodo. E come la Nube della divina presenza guidava il popolo (cfr. Nm 10,34), così ora il Pastore guida i suoi precedendoli nel cammino. Il riferimento alla sua morte è molto chiaro (cfr. Gv 13,36-38).
I suoi lo seguono perché ne conoscono la voce. La via della sequela è chiara perché coloro che appartengono al Cristo sentono e riconoscono la sua voce e quindi sanno dove camminare. Gesù pertanto garantisce che la sua voce risuoni e i suoi la possano sentire e quindi possano seguirlo. La sua voce non risuona solo come rivolta all’intero gregge ma anche come rivolta a ciascuno personalmente.
Ognuno di noi sa quale sia la parola che il Pastore gli ha rivolto. La coscienza cristiana è in dialogo con la voce del Pastore e quindi ciascuno di noi sa che quella è la sua voce. I tentativi che si fanno per camuffare la sua voce oppure per alterare la sua voce, anche se possono sedurre molti, falliscono. I veri pastori, nei quali risplende l’immagine dell’unico Pastore, fanno udire solo la voce del Cristo e non la propria.
Essi, annunciando con correttezza l’Evangelo, sono i primi a seguire il Cristo e quindi precedono il gregge facendosi modello di coloro che sono stati loro affidati, come insegna l’Apostolo Pietro: “Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (1Pt 5,1-3).
Appare ora la figura dell’estraneo, cioè di colui al quale il gregge non appartiene. Coloro che appartengono al vero pastore e ne conoscono la voce non seguono un estraneo di cui non conoscono la voce ma fuggono via da lui. L’estraneo s’impadronisce con violenza del gregge, seduce i credenti, li obbliga con le minacce o con le false promesse a seguirlo. Sotto la guida dello Spirito Santo i credenti seguono il vero Pastore.
L’Evangelo registra che i farisei non comprendono questa parola. Essi si sono già chiusi in se stessi quindi non conoscono il disegno che Dio rivela in Gesù attraverso i segni e le parole. Operano una volontaria opposizione che si trasforma nell’indurimento della loro intelligenza. Essi volontariamente rifiutano di credere per cui diventano ciechi; non vedendo più i segni di Gesù e non ascoltando più le sue parole, i farisei diventano duri di cuore. Dal momento che non capiscono, i capi del popolo trascinano i giudei nell’odio contro Gesù al punto da volerlo uccidere.
Ma a chi non capisce ma vuole capire, se bussa, gli sarà aperto. Poiché i farisei non sono giunti a conoscere il significato della parabola, Gesù ora la spiega. Egli si mostra misericordioso con loro e vuole vincere il loro ostinato rifiuto. Essi devono riferirsi a Lui perché Egli è la luce che illumina ogni uomo (Gv 1,9). Gesù inizia la sua spiegazione dalla porta e dichiara in modo solenne: «Amen, Amen vi dico: Io sono la porta delle pecore». Se in precedenza abbiamo visto nella porta le Sante Scritture perché sono esse che danno accesso a Israele, ora ascoltiamo che Gesù dichiara di essere Lui la porta delle pecore.
Egli non è solo Colui cui danno testimonianza le Scritture, ma Egli è la stessa Parola di Dio contenuta nelle divine Scritture. È Lui che proclama ed è Lui il proclamato. Egli è Colui che parla in esse, Egli è la Parola. Per questo non si può entrare nell’ovile senza passare attraverso di Lui. I farisei e tutti i giudei non possono separare le Scritture da Lui. Chi divide le Scritture dal Cristo le svuota perché si ferma alla lettera che uccide e non è reso vivo dallo Spirito perché il Signore è lo Spirito (2Cor 3,17). Dichiarandosi pertanto la porta delle pecore, Gesù li invita a leggere in Lui e con Lui le Scritture se vogliono avere accesso all’ovile d’Israele.
Con l’immagine della porta, Gesù oltrepassa il significato più immediato della parabola per collocarsi in quell’unico luogo di mediazione tra Dio e l’uomo. Egli è l’unico accesso a Dio. Dice infatti: Io sono la porta delle pecore. Cioè tutti gli uomini per avere accesso a Dio devono passare attraverso di Lui. Egli, che ha preso la nostra natura umana, è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini. Solo Lui introduce presso il Padre perché Egli è la porta del Signore e i giusti entrano per essa (Ps 117,20). Gesù pertanto invita tutti a credere in Lui perché solo Lui ci rende giusti. Giustificati dunque dalla fede abbiamo pace verso Dio mediante il Signore nostro Gesù Cristo (Rm 5,1).
All’unica porta, che dà accesso alle pecore e che apre il cammino verso il Padre, si contrappongono tutti coloro che sono venuti prima di Gesù. Il prima di Lui non è da intendersi nell’ordine del tempo ma in quello dell’elezione. Vuole essere prima di Lui chi non solo non lo riconosce come l’unica Porta e l’unico Pastore ma anche ne rifiuta la rivelazione come Colui che è. Giovanni il Battista dichiara: «Colui che viene dopo di me sta davanti a me, perché esisteva prima di me» (1,15); Gesù conferma la sua testimonianza e dichiara: «Prima che ci fosse Abramo, IO SONO».
Venire prima di Lui è pertanto dichiararsi a Lui superiore, rifiutare la sua missione nonostante le parole e i segni che la rivelano e la confermano. Quanti escludono Gesù sono ladri e briganti. Coloro che vengono in nome proprio e rifiutano l’unico e vero Pastore sono cattivi pastori che sfruttano il gregge del Signore. Abramo e i patriarchi, Mosè e i profeti conobbero il vero Pastore e in suo nome accolsero di pascere il gregge. Essi videro in visione Lui, annunciarono Lui e lo prefigurarono con la loro stessa vita.
Per questo non sempre furono accolti, subirono persecuzioni da parte di coloro che non conoscevano il vero Pastore e per Lui furono anche uccisi. I veri profeti e pastori erano con Lui. «Colui che stava per venire mandava gli araldi; ma possedeva i cuori di coloro che aveva mandato» (Sant’Agostino).
Coloro che sono venuti prima del Cristo, le pecore non li hanno ascoltati. Non sentivano in loro la voce dell’unico Pastore perché non entravano attraverso il Cristo nel gregge. Essi possono fare violenza alle pecore, le possono impaurire, ma non entreranno mai nel loro cuore. Solo il Pastore e quanti lo annunciano fanno breccia nel cuore dei credenti, gli altri invece li dominano, li sfruttano e con le loro minacce e le loro paure li tengono sotto di sé, ma non sono veramente ascoltati e tanto meno amati.
Io sono la porta. Con questa dichiarazione Gesù non si relaziona più alle pecore supera l’immagine per parlare della realtà: Egli è l’unica porta attraverso la quale gli uomini devono entrare per essere salvati. Gesù non si pone solo in relazione ai suoi ma a tutti gli uomini. Da una parte Egli si rivela come l’unica porta, dall’altra ogni uomo è posto di fronte alla scelta; pur essendo necessario passare attraverso Gesù per essere salvati, tuttavia ciascuno è libero di scegliere. Da questo possiamo dedurre che la rivelazione evangelica illumina la coscienza di ogni uomo facendogli vedere in Gesù la Porta.
Dichiarando: Io sono la porta, Gesù rivela pure che è attraverso la sua umanità che si ha accesso alla vita divina. Nella lettera agli Ebrei (10,19-20) l’Apostolo ci presenta l’accesso al Santuario celeste tramite il sangue di Gesù e noi passiamo attraverso il velo, cioè il velo della sua carne. Porta e velo sono due immagini di cui l’una ci mostra la necessità di passare attraverso Gesù e l’altra ci fa conoscere come questo passaggio avvenga attraverso il suo Sacrificio.
Il passaggio attraverso di Lui porta al pascolo. Gesù usa l’espressione entrerà e uscirà. Chi è in relazione con Lui diviene come Lui libero e sicuro. In Nm 27,16-17 si dice che il capo del popolo è colui che esce ed entra liberamente e fa uscire ed entrare con sicurezza il gregge. Allo stesso modo chi è in Gesù si muove liberamente negli spazi spirituali trovando sempre pascolo. Se poi vogliamo interpretare l’espressione entrare e uscire in riferimento alla vita spirituale potremmo dire che attraverso di Lui entriamo nel riposo dell’ovile, nella pace della contemplazione del Figlio che ci rivela il Padre ed è dal Padre rivelato (cfr. Mt 11,25). Attraverso di Lui usciamo pure per operare nell’amore.
Sia che siamo nel riposo della contemplazione sia che fatichiamo nelle operazioni spirituali e apostoliche, noi siamo continuamente in pascoli di erbe fresche (Sal 22,2) perché attraverso il pascolo delle Sante Scritture ci nutriamo sempre di Cristo.
Chi non entra per quell’unica Porta, che è Gesù, è ladro. Il suo unico scopo è quello di rubare, uccidere e distruggere. Il ladro può farsi passare per pastore per essere accolto dal gregge, ma se egli non passa attraverso il Cristo, egli forza l’entrata, cioè entra da un’altra parte, e quando è dentro si rivela perché ruba, uccide e fa smarrire al gregge la via retta. Chi invece passa per quell’unica Porta che è Cristo, cessa di uccidere e disperdere e diviene pastore vero.
L’Apostolo Paolo prima che Gesù gli si rivelasse entrava nell’ovile del Signore per uccidere e disperdere, ma dopo che fu passato per l’unica porta con la fede in Cristo divenne vero pastore nella comunità cristiana. Passa attraverso la porta chi riceve il mandato da Gesù di pascere le pecore e gli agnelli, come Pietro sulle rive del lago di Tiberiade, e accoglie coloro che gli sono stati affidati solo attraverso Cristo.
Come Gesù è la sola e vera porta, attraverso la quale tutti, pastori e fedeli, entrano ed escono, così Egli è l’unico che è venuto per donare agli uomini la vita e donarla in modo abbondante. Questa è la sua missione. Da Lui la vita si comunica in modo sovrabbondante ai credenti. È chiaro che Gesù non comunica la vita come i maestri d’Israele che racchiudono i loro discepoli sotto la Legge. Questa può dare solo un pegno delle realtà future in quanto ne è ombra. Gesù invece dona la Vita in modo sovrabbondante, cioè chi è in Lui cresce ogni giorno nella Vita divina. Chi invece è sotto il dominio della Legge non riesce a superare il dominio della morte perché questa lo tiene prigioniero mediante il peccato; chi invece ha in sé la Vita data da Gesù ha già vinto il peccato e ne distrugge le opere di giorno in giorno e sempre più cresce nella conoscenza di Dio fino al giorno in cui vedrà Dio.
IN ASCOLTO DEI PADRI NELLA FEDE
«Vedete la potenza della dolcezza? Più di qualsiasi violenza, essa tocca i nostri cuori, e li ferisce profondamente ... I giudei sono toccati dalla mansuetudine dell’Apostolo, da questo tono paterno e fermo nello stesso tempo con il quale parla a coloro che hanno inchiodato il suo maestro alla Croce e che meditano contro gli apostoli dei progetti omicidi».
(S. Giovanni Crisostomo, omelia 7)
“Disponiamoci dunque ad ascoltare la spiegazione della similitudine dalla bocca stessa del Signore che ce l’ha presentata. Gesù, allora, riprese: In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore (Gv 10, 7). Ecco che ci ha aperto quella porta che era chiusa quando ce l’aveva indicata. Egli stesso è la porta. Prendiamone atto, entriamo, o rallegriamoci di essere entrati. Tutti coloro che sono venuti sono ladri e predoni (Gv 10, 8). Che intendi dire con questo, o Signore: tutti coloro che sono venuti sono ladri e predoni? Cerca di capire: ho detto: tutti quelli che sono venuti, ben inteso prima di me. Prima di lui sono venuti i profeti: forse che erano ladri e predoni? Certamente no; non erano venuti prima di lui, poiché erano venuti con lui. Colui che doveva venire mandava innanzi a sé gli araldi, e possedeva il cuore di coloro che mandava”.
(Sant’Agostino, Omelia 45,8)