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Lectio divina della IV Domenica di Quaresima - Anno A

Inserita il: 19/03/2020

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Gv 9, 1-41
“Gesù gli disse: “Va a lavarti nella piscina di Siloe”.
Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva”

In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Và a lavarti nella piscina di Siloe, che significa “inviato”». Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Và a Siloe e làvati! Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato (lett.: un tempo era) cieco: era un sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra di loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano gia stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età, chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui; allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

CONTESTO E TESTO
Il tema delle letture è quello della luce, che richiama il mistero della Trasfigurazione che abbiamo meditato nella II domenica. Ora la guarigione del cieco nato da parte di Gesù è immagine del nostro cammino interiore, in cui veniamo illuminati ogni giorno dalla Parola di Dio. È una domenica che conclude la settimana battesimale: domenica della gioia! I catecumeni ricevevano il Battesimo e venivano chiamati “illuminati”. 
 
Dopo essere uscito dal Tempio dove ha rivelato il suo Nome divino, Gesù passa in mezzo alla folla. Noi non notiamo in Lui nessuna paura per le pietre che hanno tentato di scagliargli contro. Gesù passa e vede un uomo cieco fin dalla nascita. Gesù lo vede perché, in quest’uomo cieco, dà una conferma della sua rivelazione e, con l’illuminazione non solo fisica, ma anche spirituale, risponde alla cecità dei suoi avversari. Sono loro i veri ciechi perché rifiutano la vera luce. 

APPROFONDIMENTO DEL TESTO
L’intensità dello sguardo di Gesù non sfugge ai discepoli che gli pongono una questione tipicamente rabbinica. Dove sta la colpa della sua cecità: in lui o nei suoi genitori? I discepoli, come pensiero, sono ancora sotto la Legge e cercano di trovare il colpevole. In risposta, Gesù afferma che né il cieco né i suoi genitori hanno peccato, vuole spezzare il nesso tra peccato e malattia. L’Evangelo s’inserisce nell’esistenza umana come la Parola che salva. Chi accoglie l’Evangelo accoglie la salvezza e in lui cominciano a manifestarsi le opere di Dio, che giungeranno a compimento con il riscatto del nostro corpo (cfr. Rm 8,23).
 
Compiendo quest’opera, Gesù si rivela come la luce del mondo. Fino a che è nel mondo, Gesù è la luce che illumina il mondo e fa risplendere se stesso come la luce che illumina ogni uomo (1,9) facendo le opere di Dio che lo ha mandato. L’opera che Egli fa nel cieco nato, riplasmandogli gli occhi, Gesù la compie su ogni uomo illuminandolo nel profondo della sua verità davanti a Dio Padre.
 
Gesù sputa a terra, da dove l’uomo è tratto, e fa con lo sputo del fango, la materia di cui l’uomo è fatto, e unge col fango gli occhi del cieco nato. Gesù in quello che compie si rivela come il Creatore, che ha plasmato l’uomo (Gen 2) e come il suo Redentore inviato dal Padre, il Messia ridona ai ciechi la vista (cfr. Is 61,1). Gli occhi del cieco vengono aperti – e in lui quelli di tutti degli uomini – per vedere Dio e le sue opere, che Egli sta per fare a coloro che attendono la sua misericordia (cfr. Is 64,4). Questo fango è formato dallo sputo di Gesù, da qualcosa che appartiene all’intimo di Gesù. 
 
La piscina di Siloe richiama a noi la piscina di Betesda. Qui i malati attendevano il movimento dell’acqua. Ma il Signore non si serve di quest’acqua per guarire l’uomo paralizzato. Al contrario, al cieco comanda di andare a lavarsi alla piscina di Siloe. A causa del nome, che essa porta, Gesù vuole che il cieco acquisti in essa la vista. Siloe significa infatti Inviato. Che il cieco riceva in quest’acqua la vista è la conferma che Gesù è l’Inviato di Dio e che da Lui, come dalla pienezza, deriva lo Spirito. Gesù, ricollegandosi alla piscina di Siloe, si rivela come l’Inviato, il Consacrato del Signore, che è venuto mediante l’acqua per illuminare coloro che sono nelle tenebre e nell’ombra di morte. L’acqua, attraverso la quale Egli è venuto a noi (cfr. 1Gv 5,6: Questi è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo) resta nella Chiesa e, fecondata dallo Spirito, ci dona la vista dei misteri di Dio.
 
Il breve dialogo delle persone che lo conoscono s’incentra su due battute: «È lui», «No, ma è uno che gli somiglia». Potrebbe essere infatti un sosia. Ma l’uomo guarito testimonia di se stesso: «Sono io». Non ci sono dubbi sull’identità tra l’uomo che prima era cieco e sedeva a mendicare e l’uomo che ora è in piedi e ci vede. Il Cristo è venuto a illuminare coloro che sedevano nelle tenebre e nell’ombra di morte (Lc 1,79) per farli alzare perché vedano. Una volta accertato che è proprio colui che conoscono ad aver ottenuto la vista, vicini e conoscenti giungono al punto cruciale, il come. Su questo, come anche in precedenza, si sviluppa tutta la narrazione che fa emergere, con sempre maggiore chiarezza e forza, la persona di Gesù. 
 
Alla domanda: «Dov’è costui?», l’uomo guarito risponde: «Non lo so». Egli infatti non conosce ancora chi sia Gesù. Con questa domanda l’attenzione si sposta su Gesù. Essi vorrebbero forse interrogare Gesù, ma non possono perché devono accogliere la testimonianza di colui che, illuminato fisicamente, progredisce fino alla fede piena.
 
Entrano in scena i farisei. Non si dice chi abbia condotto colui che un tempo era cieco dai farisei. Ora l’uomo guarito deve dare testimonianza davanti a coloro che si ritengono autentici interpreti della volontà di Dio in quanto ne conoscono e ne interpretano la Legge. Tutto il resto viene sfumato. Un abisso separa quest’uomo dai farisei, benché egli porti in sé i segni della potenza di Dio. I farisei si ritengono i giusti d’Israele che possono disprezzare quest’uomo nato tutto nei peccati (cfr. v. 34). 
 
L’Evangelo precisa ora la motivazione per cui hanno condotto l’uomo, che un tempo era cieco, dai farisei: la violazione del sabato. Gesù in questo giorno aveva fatto del fango e aveva aperto gli occhi del cieco. La santità del sabato è talmente assoluta che l’azione di Gesù ne appare una violazione. È davvero l’uomo per il sabato e non il sabato per l’uomo (cfr. Mc 2,27). I farisei vogliono appellarsi a ciò per svuotare tutta l’opera di Gesù, come già hanno tentato di fare con la guarigione dell’uomo paralitico avvenuta pure di sabato. Essi pensano che la stessa azione di Dio sia esplicativa della Legge stessa: se in giorno di sabato Dio si è riposato come può operare? Quindi come può Gesù operare in un giorno in cui Dio si riposa? Essi sono all’interno di una problematica che non possono risolvere se non partendo da Gesù: o credendo in Lui oppure accusandolo di essere uno che viola il sabato. I farisei scelgono questa seconda alternativa.
 
I farisei lo interrogano di nuovo sul come abbia acquistato la vista. La risposta dell’uomo guarito è essenziale. Essa s’incentra su tre azioni: una di Gesù (ha posto del fango sui miei occhi) e due del cieco nato (mi sono lavato e ci vedo). È tipico della testimonianza la sobrietà concisa del linguaggio, cioè esporre in modo essenziale i fatti. Appare così la veracità del testimone che non si ritrae intimorito dai farisei. Egli non nomina Gesù come soggetto dell’azione perché è a tutti noto. L’uomo comincia a sentire verso Colui che l’ha guarito un senso di timore, che si contrappone alla durezza dei farisei tutti intenti a cercare pretesti per accusare Gesù. Al contrario l’uomo che ha ricevuto la luce si sta muovendo verso la conoscenza di Gesù guidato dal timore. Il timore di Dio è principio della sapienza (Sir 1,12). La sapienza lo sta prendendo per mano in modo che non si lasci intimorire dai farisei, che lo vogliono ingannare con i loro ragionamenti.
 
Dopo aver ascoltato la testimonianza dell’uomo guarito, i farisei discutono tra loro sulla violazione del sabato. Per dichiarare che Gesù ha violato il sabato alcuni farisei devono ridurre il segno compiuto da Gesù a un semplice fatto umano: fare del fango e aprire gli occhi del cieco come fosse un’operazione chirurgica. Essi scindono l’azione dall’effetto ed esaminandola in sé la dichiarano violazione del sabato, quindi quell’uomo (non dicono mai il nome di Gesù, come segno di estraneità) non è da Dio. Per questi farisei, Gesù ha violato la Legge e quindi il suo segno lo rivela falso profeta e seduttore (cfr. Dt 13,2-4). Altri farisei più onestamente s’interrogano. Un uomo peccatore, un falso profeta, potrà sì compiere dei segni ma non “questi” segni che la divina Scrittura ha riservato all’Inviato di Dio, al Messia. L’effetto del segno, in quanto divino, annulla ogni accusa di violazione del sabato. Gesù non può essere un uomo peccatore e compiere questi segni divini. Tutta la costruzione interpretativa della Legge salta se si ammette che il segno, compiuto da Gesù di sabato, sia divino. 
 
I farisei, rivolgendosi all’uomo guarito, lo scelgono come arbitro delle loro discussioni. Essi convengono su un dato evidente: Gesù gli ha aperto gli occhi. Egli risponde dichiarando Gesù profeta, non un profeta. Gesù non appartiene alla schiera dei falsi profeti dove alcuni dei farisei volevano collocarlo, ma a quella dei veri profeti mandati da Dio, la cui parola è confermata dai segni. È questo il primo passo: percepire Gesù come appartenente al vero Israele e non come un estraneo. Una volta che Gesù sia percepito all’interno della linfa vitale d’Israele, si può giungere alla piena conoscenza. 
 
I farisei sono ora chiamati Giudei. Il termine indica l’intero popolo ed esprime una categoria teologica. I Giudei sono coloro che possiedono la Legge e con essa giudicano senza essere giudicati. Per costoro il Cristo esce da loro e non può contrapporsi a loro come fa Gesù. Ai Giudei resta ora un’unica possibilità: verificare se l’uomo fosse veramente cieco dalla nascita e se sia veramente lui. Per questo essi chiamano i genitori.
 
I Giudei cercano ora di mettere i genitori alle strette per costringerli a una falsa testimonianza. Essi li vogliono porre di fronte a due dati contraddittori, vogliono confondere i genitori con la loro logica in modo che cadano in contraddizione e quindi, attraverso la loro testimonianza, dichiarare inesistente il segno. I genitori si fermano sui dati essenziali: costui è nostro figlio ed è nato cieco. I Giudei quindi non riescono a contestare, devono pertanto accettare che quell’uomo è nato cieco. La testimonianza dei genitori è irrefutabile.
 
Essi si fermano sulla soglia del «come». Su questo essi non possono dare testimonianza. Essi potrebbero riportare solo quello che il figlio ha loro detto. Ma preferiscono ignorare sia il modo come egli ci abbia visto sia Colui che gli ha aperto gli occhi. Essi non vogliono diventare testimoni delle parole del loro figlio, preferiscono tacere e rimandare la testimonianza alle parole stesse del figlio, così abbandonano il figlio alla sua sorte. Davanti ai Giudei i genitori vogliono stare in pace. 
 
L’Evangelo motiva ora questo modo così sobrio di procedere da parte dei genitori. Essi hanno paura dei Giudei per cui ignorano completamente Gesù. Essi temono che solo il dichiarare che è stato Gesù ad aprirgli gli occhi appaia, agli occhi dei Giudei, come una dichiarazione pubblica che Gesù è il Cristo. Il segno infatti lo proclama tale. Al contrario del loro figlio, essi non vogliono procedere perché hanno paura di essere espulsi dalla sinagoga, cioè dall’assemblea d’Israele. 
 
Per i farisei si è chiusa la via della non cecità dell’uomo. Benché intimiditi, i genitori hanno testimoniato la verità sul loro figlio nato cieco. L’ultima possibilità che ora rimane è quella di associare l’uomo, che prima era cieco, alla loro menzogna. Se questi si unirà a loro nel confermare che quest’uomo è un peccatore darà gloria a Dio. I farisei si erano in precedenza divisi riguardo a Gesù (v. 16). Ora ritrovano la loro unione nel dichiarare che Gesù è un peccatore perché non osserva il sabato. Essi si dichiarano giusti e quindi danno gloria a Dio mentre quest’uomo è peccatore perché guarisce in giorno di sabato. Con la forza della loro autorità, essi vogliono coinvolgere l’uomo guarito perché stia con loro contro Gesù. Poiché egli ha ricuperato la vista, può entrare nella schiera dei giusti e condannare il suo benefattore perché per guarirlo ha violato il sabato. 
 
L’uomo guarito non si lascia coinvolgere dai loro ragionamenti. Egli non è così sicuro come loro che Gesù sia un peccatore. Egli non ne ha le prove. In tal modo egli dichiara inconsistenti le loro affermazioni. La cosa sicura è questa: Ero cieco e ora ci vedo. Questa è la certezza da cui parte il suo discorso su Gesù. Per giungere alla piena conoscenza per prima cosa è necessario staccarsi dalle opinioni altrui, senza lasciarsi assumere dai loro ragionamenti, e poi esaminare con attenzione i dati certi. Così l’uomo illuminato da Gesù si distacca dalle affermazioni dei farisei dichiarando di non sapere quello che essi sanno e di sapere quello che essi non vogliono sapere. 
 
I farisei di nuovo lo interrogano per ricavare dai particolari del racconto qualcosa con cui confermare la loro accusa contro Gesù. Due infatti sono le domande: Gesù ha operato e quindi non si è riposato; il «come» abbia aperto gli occhi al cieco potrebbe rivelare che la sua azione non viene da Dio. È l’ultimo e disperato tentativo di trovare un appiglio per negare il valore divino dell’azione di Gesù. Il cieco risanato reagisce alla loro insistenza e li accusa di non averlo ascoltato. I Giudei sanno già tutto ma hanno rifiutato di accogliere la testimonianza dell’uomo guarito, di quanti lo conoscono e dei suoi genitori. 
 
Mentre i farisei vogliono ignorare Gesù sia con il non nominarlo mai e sia con il dichiararne ignote le origini, l’uomo guarito invece trova in ciò motivo di stupore. Essi hanno cercato invano di distruggere il segno, per cui compiono l’ultimo tentativo: cancellarne la memoria dichiarandone ignota l’origine. È una sorta di maledizione sul giorno eterno e temporale del Cristo; è un rifiuto di voler procedere nella conoscenza di Gesù; chiunque lo fa è cacciato fuori dalla sinagoga. Invece l’uomo, cui Gesù ha aperto gli occhi, vuole procedere e conoscere questa cosa meravigliosa, donde sia Gesù. Là dove i farisei vogliono trovare una contraddizione per annientare Gesù, l’uomo illuminato trova la porta del mistero.
 
La prima certezza da cui egli parte e che è da tutti condivisa (sappiamo) è questa: Dio non ascolta dei peccatori. Quindi Gesù non può essere un peccatore perché Dio lo ha ascoltato. Quindi Gesù è uno che teme Dio e ne fa la volontà. Gesù è pertanto giusto e in rapporto con Dio. Da queste premesse evidenti e indiscutibili, si deve per forza concludere che se Costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla. L’uomo ha resistito alla pressione dei farisei e ha proceduto con coerenza nel suo discorso giungendo a questa conclusione: 
 
I farisei non possono sopportare la luce di questo ragionamento. Essi non ammettono che un uomo, nato tutto nei peccati, possa insegnare a loro che sono i maestri d’Israele e i veri giusti. Essi non vogliono mettersi a livello di quest’uomo da loro considerato un maledetto (cfr. 7,49) e uno intrinsecamente peccatore. La sua parola, anche se è vera, non vale nulla, mentre la loro deve essere sempre ritenuta l’unica e definitiva parola. Qui sta l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore (Ef 4,14). Chi non si lascia convincere viene cacciato fuori. Il mondo, a cui appartengono anche i farisei, non ammette di essere messo in discussione neppure dalla ricerca della verità.
 
Cacciato fuori dai saggi d’Israele, l’uomo si trova solo, ma Gesù ha udito e lo cerca e, trovatolo, lo introduce nella comunità dei suoi discepoli. Gesù infatti non vuole che l’uomo resti a quel grado di conoscenza cui è giunto nella coerenza del suo ragionamento. Gesù lo vuole portare alla conoscenza piena, quella che è profezia dell’annuncio, e quindi della sua presenza. Egli pertanto cerca coloro che sono stati esclusi per causa sua e, trovatili, li illumina con la sua conoscenza. 
 
Prima l’uomo non sapeva dove fosse Gesù (cfr. v.12), ora che ha provato l’umiliazione d’essere escluso e cacciato fuori da coloro che hanno il potere, egli viene trovato da Gesù. Questi, a forma di domanda, perché sia rispettata la sua libera scelta, dice: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?», cioè nel Messia. La domanda non è in rapporto a una dottrina, ma a una persona, che è già presente. La fede implica presenza. Come la luce è la possibilità di vedere per l’occhio, così il farsi presente di Gesù, sia pure ancora con un annuncio generico, è la possibilità di credere. Gesù procede per gradi affinché possiamo accogliere con fiducia la sua luce.
 
L’uomo esprime il suo desiderio di sapere chi sia il Figlio dell’uomo per credere in Lui. Già egli si rivolge a Gesù chiamandolo Signore. Egli cerca Colui che già sente presente e lo chiede a Colui che lo ha guarito. Ancora non sa chi sia Lui perché il Figlio dell’uomo non è stato ancora rivelato né nella sua esaltazione (croce e risurrezione) né nel suo giudizio. Allora Gesù si rivela. Tu l’hai visto e continui a vederlo e ne odi la voce perché è Colui che parla con te, come parlò ad Abramo, a Mosè, ai profeti. Tu lo vedi perché il Verbo è fatto Carne e tu ne ascolti la voce, perciò puoi credere nel Figlio dell’uomo ed accogliere in te la sua salvezza. La fede conduce a ciò, all’esperienza di Gesù e a un rapporto con Lui personale. Il credente conosce Gesù pur senza averlo visto (cfr. 20,29).
 
L’atto di fede e la conseguente adorazione non cadono nel vuoto come frutto di uno sforzo fideistico, ma sono rivolti a Gesù che si fa presente. Allo stesso modo l’illuminato non vede più in Gesù un semplice uomo, ma contempla in Lui il Figlio dell’uomo. Il miracolo lo ha portato fino a un primo grado di conoscenza, ma la rivelazione porta alla pienezza mediante la fede.
 
Il confronto serrato tra l’uomo guarito e i Giudei ha manifestato il giudizio che Gesù è venuto a portare in questo mondo. I farisei che, illuminati dalla rivelazione della Legge ci vedono, a causa del loro progressivo indurirsi, diventano ciechi. L’irrazionalità dei nostri presupposti, delle nostre prese di posizione, se non viene da noi dichiarato tale, ci porta a indurirci in un rifiuto immotivato. Gesù è la luce che viene nel mondo e illumina la nostra irrazionalità, distruggendo i ragionamenti falsi. Chi accetta di essere illuminato giunge alla purezza dell’intelletto e alla semplicità del ragionare. Così coloro che prima non vedono, perché siedono nelle tenebre e nell’ombra di morte, ora con la fede vedono la grande luce (cfr. Mt 4,16) e la seguono.

Anche noi cristiani, pur professando la nostra fede in Cristo, possiamo trattenere delle tenebre che c’impediscono la piena e interiore illuminazione. Amare le tenebre invece della luce e impedire alla luce di entrare nel profondo di noi stessi, questa è la nostra tremenda libertà di scelta. Finché l’Evangelo non risuona, chi vede qualcosa pensa di vederci, ma quando la luce risplende, allora la scelta che l’uomo è chiamato a fare, coinvolge il suo stesso esistere. Finché è la Legge a illuminarci comprendiamo la distinzione tra il bene e il male e stabiliamo nelle opere la nostra giustizia, ma quando è la luce di Cristo a illuminarci allora vediamo come tutto il nostro esistere sia posto nel male. Come potremo allora uscire da questa soffocante malizia del peccato? Solo venendo verso la luce e dichiarando la nostra cecità. Solo chi fa la verità viene alla luce (3,21), e credendo in Gesù, vediamo dissiparsi in noi stessi le tenebre.

 




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Fanny Borges

19/03/2020 | 20:51

Saludos. Muchas gracias de la hermosa Lectio Divina....Jesús Buen pastor continúe derramando la luz de su Espíritu en cada una de nosotras!!!

sonia de fatima batagin

19/03/2020 | 18:57

Muito agradecida por este texto profundo, carregado de vida.

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