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Lectio divina della III Domenica di Quaresima - Anno A

Inserita il: 12/03/2020

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Gv 4, 5-42
“Chi berrà l’acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno”

In quel tempo, 5Gesù giunse ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. 6Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». 8I suoi discepoli erano andati in città a far provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». 13Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». 15«Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 16Le dice: «Va a chiamare tuo marito e ritorna qui». 17Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». 19Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato su questo monte voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte, né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 25Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia chiamato il Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». 26Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». (...)

CONTESTO E TESTO
Il brano del Vangelo; molto lungo, è un discorso che bisogna tenere presente nella sua globalità. È una sorta di svelamento progressivo della identità di Gesù; perciò, nella comprensione del brano, potremmo farci guidare dalla domanda che Gesù stesso fa all’inizio: “Se tu conoscessi chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gli chiederesti da bere”. Chi è questo dono fatto da Dio? Giovanni, l’evangelista, non parla mai ad un livello soltanto, quello della narrazione letterale, ma parla sempre anche a livello simbolico. Possiamo constatare questo fin dall’inizio della pagina, che ci permette di scoprire il significato del pozzo, su cui è seduto Gesù. Il termine greco con cui viene chiamato questo luogo è peghé, che di fatto significa fonte. Gesù parla sempre di peghé, di fonte, mentre la donna parla di fréar, di pozzo, non di sorgente. 
 
La peghé fa immaginare una forza sorgiva straordinaria, e sembra che questo pozzo di Giacobbe fosse talmente abbondante, che l’acqua saliva come una fontana e straripava, ai tempi dei patriarchi, sì che potevano bere facilmente sia gli uomini che gli animali, perché era un’acqua che scorreva, si trasformava in qualche modo in ruscello. Il pozzo, invece, viene più facilmente accostato alla cisterna, che non ha necessariamente acqua sorgiva.
 
APPROFONDIMENTO DEL TESTO
Gesù entra in questo luogo sacro, pegno dell’eredità di quella terra per i figli di Giuseppe. Esso si fonda sulla donazione di Giacobbe a Giuseppe (Gn 48,22) che pure ha qui il suo sepolcro (Gs 24,32). In questo luogo vi è pure la sorgente di Giacobbe, il pozzo d’acqua viva che Giacobbe aveva fatto scavare come fonte di vita per i suoi. Tutto è pronto per far cogliere il rapporto di Gesù con i padri datori di vita e per la sua rivelazione come Messia, datore della vera vita.
 
Il Signore, dopo aver compiuto l’iniziazione dei suoi discepoli in Giudea alla sua missione, nelle acque del Giordano, lascia questa regione, roccaforte del giudaismo, ed entra in Samaria, esattamente in quel luogo dove sono le memorie dei padri, Giacobbe e Giuseppe, che legittimano il possesso della terra da parte dei samaritani e quindi il culto a Dio compiuto sul monte dove i padri hanno adorato Dio (v. 20). Nella sua misericordia Egli s’inserisce in questo mondo spirituale e lo apre alla conoscenza vera di Dio. In questo Egli si rivela il Messia.
 
Dopo aver descritto il luogo, l’Evangelo ci dice che Gesù affaticato dal camminare, si riposa presso la fonte di Giacobbe. È qui testimoniata la verità dell’Incarnazione. Egli è affaticato perché è nato da donna, in tutto simile a noi fuorché nel peccato (Eb 4,15). Dopo aver mostrato la verità della sua Incarnazione, l’Evangelo ci rivela la sua divinità dicendo: era seduto così sulla fonte. Egli sta seduto perché è il Signore e il Maestro. Sta seduto sulla fonte per insegnare quale sia la differenza tra l’acqua della fonte di Giacobbe e l’acqua viva che Egli dona.
 
Finora chi era sotto la Legge veniva dissetato alla fonte di Giacobbe. Solo con la venuta del Cristo affaticato dal viaggio, sarebbe avvenuto il riscatto di coloro che erano sotto la Legge. 
 
Giunge una donna dalla Samaria ad attingere acqua. È un gesto più volte registrato nelle divine Scritture come momento importante per l’incontro dello sposo con la sposa (Gn 24,11; 29,2; Es 2,15). Come il luogo, così la scena si rifà ai padri. È una rilettura di ciò che avvenne a Giacobbe che, al pozzo, incontrò Rachele. Il patriarca incontrò la sposa nella carne e la ebbe anche come simbolo; Gesù invece incontrò la donna nello Spirito e la rese simbolo della Chiesa.
 
Gesù le dice: «Dammi da bere». Gesù le comanda come fosse già a lei familiare. A lei si rivolge come uno che la conosce e le parla come le parlerebbe lo sposo. Le si rivolge come si rivolge ai suoi discepoli nel suo primo incontro: mostra loro che già li conosce. Che Egli chieda da bere non esprime soltanto la sua necessità (non si dice infatti che Egli beva) ma è l’inizio della rivelazione dei misteri divini. È infatti la stessa domanda che il servo di Abramo fece a Rebecca come conferma del segno che lei era la sposa d’Isacco (Gn 24,12-14; 17-21). Richiamando le antiche Scritture, il Signore vuole condurre chi ascolta alla comprensione del dono di cui l’acqua è simbolo. Facendosi uguale a noi e, avendo sete della nostra fede, il Signore c’incoraggia a chiedergli da bere per avere in dono l’acqua viva che Lui solo può dare. Da ricco che era si fece povero per arricchirci con la sua povertà (2Cor 8,9).
 
Gesù è solo presso il pozzo perché i suoi discepoli sono andati in città per comperare cibo. Certamente essi hanno pensato di pranzare presso il pozzo, godendo del fresco e dell’acqua e forse, essendo Giudei, gradiscono mangiare appartati su quel terreno che richiama loro la paternità di Giacobbe. I discepoli sono andati tutti in città lasciando Gesù solo perché così deve avvenire. L’Evangelo ci fa così vedere come Gesù vivesse poveramente, mangiando un cibo comprato e consumato modestamente presso il pozzo, così come abitualmente fanno i poveri.
 
In risposta alla richiesta di Gesù, la donna Samaritana dice a Lui: «Come tu che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». Il come indica stupore perché nessun giudeo chiederebbe qualcosa a un samaritano e certamente non userebbe un oggetto di un samaritano per non divenire impuro. Nella donna desta stupore il fatto che Gesù varchi quel confine che i giudei hanno rigorosamente stabilito dichiarando i samaritani gente impura. Infatti non usano niente in comune i giudei con i samaritani. Anche se non fisicamente, il Signore, entra in contatto con le impurità legali dei samaritani. Egli, chiedendo da bere, dichiara di essere pronto a bere da un vaso impuro non tanto perché Egli intenda violare la Legge quanto piuttosto perché Egli vuol fare comprendere di essere venuto per purificare quanto la Legge dichiara impuro e a unire così i due popoli in un solo popolo. Chiedendo da bere, Gesù manifesta che dalla sua carne, proprio nella sua infermità e debolezza, scaturirà la sorgente della purificazione, predetta dal profeta Zaccaria (Zac 13,1). Sappiamo dal seguito che questa sorgente scaturirà dal Signore trafitto sulla Croce (19,33-37 cfr. Zac 12,10).
 
Se tu conoscessi il dono di Dio. La donna conosce il dono di quella fonte data loro da Giacobbe e ritiene questa il dono di Dio. Ella non è capace di leggere i misteri contenuti nella Legge e nei Profeti. Gesù la invita a conoscere il dono di Dio espresso nei simboli antichi. Potremmo intendere come dono di Dio Gesù stesso, come è detto precedentemente: Così infatti Dio ha amato il mondo da dare il Figlio l’unigenito (3,16). Colui che vuole il dono di quell’acqua è lui stesso il dono di Dio, dal quale scaturisce l’acqua viva. Conoscendo Gesù come il dono di Dio si desidera da Lui l’acqua viva.
 
Sotto l’immagine dell’acqua viva si riuniscono molti testi delle divine Scritture. Il riferimento principale è quello dello Spirito Santo. Come dalla sorgente, lo Spirito scaturisce dal Cristo che lo dona a chi ha sete e crede in Lui. La sapienza in Gesù è lo Spirito. La sete, che è in ogni uomo, può venire placata dalla sorgente che Cristo fa zampillare, l’acqua viva dello Spirito.
La donna non può comprendere quello che Gesù le sta dicendo perché l’uomo psichico non può cogliere le cose dello Spirito di Dio (1Cor 2,14). Lo chiama Signore in modo ancora confuso, ma comincia a percepire il mistero di Colui che le parla. Se Gesù promette l’acqua viva da dove la prende? Non certo da questo pozzo perché non ha di che attingere e il pozzo è profondo. Il Signore la fa procedere per gradi verso la conoscenza spirituale. Gesù si presenta povero (non ha di che attingere) e promette l’acqua viva. Attraverso la sua povertà fa salire la donna alla ricchezza spirituale. L’acqua, che Gesù promette, appare misteriosa agli occhi della donna.
 
Attraverso quel pozzo ora la donna fa un confronto tra quell’uomo che ancora non conosce e il nostro padre Giacobbe che ci ha dato il pozzo, garantendoci la vita in questa terra, ed egli stesso ne bevve assieme ai suoi figli e il suo bestiame, proprio perché abbondante. La donna celebra l’origine e la natura di quell’acqua al punto che si potrebbe dire che nessun’acqua è così buona come quella della fonte di Giacobbe, che è in Samaria.
 
Se Gesù ha un’acqua migliore vuol dire che è più grande del nostro padre Giacobbe. Una certa curiosità spinge la donna a volere conoscere chi è colui che le parla. Il Signore mette ora a confronto le due sorgenti. Questa di Giacobbe disseta ma non toglie la sete. Chi si rivolge alla Legge, sia a quella scritta su tavole di pietra come a quella scritta nel cuore, benché si disseti, avrà di nuovo sete perché, anche inconsapevolmente, desidera il mistero nascosto sotto la lettera. Chi, venuto alla sorgente di Giacobbe, vi trova seduto il Cristo, ha speranza di dissetarsi in eterno.
 
Essendo data da Gesù, l’acqua, di cui Egli parla, non appartiene a questa creazione. Essa appartiene ai beni della casa del Signore, come è scritto: Ci sazieremo dei beni della tua casa (Sal 65,5). Ammaestrati dalle divine Scritture veniamo condotti a contemplare il costato trafitto del Signore, dal quale sgorgano sangue e acqua (Gv 19,34). In quell’acqua dunque contempliamo il dono dato da Gesù a chi crede in Lui cioè a chi beve dell’acqua, che Egli darà. Il futuro si riferisce alla sua Pasqua. Non solo Gesù afferma che darò quest’acqua ma anche che essa toglierà completamente la sete e che diverrà sorgente zampillante per la vita eterna.
 
Lo Spirito, che beviamo dalla roccia spirituale, che è il Cristo, (cfr. 1Cor 10,4; Gv 7,37), non solo scende e feconda il buon seme della Parola, che è stato seminato nei nostri cuori, ma risale a Dio trascinando con sé le nostre menti e ponendole già nella vita eterna (cfr. Col 3,1-4). Solo lo Spirito può sollevarci là dove è il Cristo, che siede alla destra di Dio.
 
La donna ora chiede, chiamando di nuovo colui che non conosce con il nome di Signore. Più s’inoltra nel mistero, che Gesù le sta gradatamente rivelando, più la Samaritana si rivolge a Lui chiamandolo Signore. Ora, di fronte alla rivelazione dell’acqua zampillante verso la vita eterna, la donna, che comincia ad essere illuminata dalla conoscenza, chiede di quest’acqua. Giustamente la chiama quest’acqua perché essa si è fatta presente in Colui che le parla e ha fatto come scomparire quella presente nella fonte di Giacobbe. La Legge sta per scomparire e appare l’Evangelo. La donna vuole estinguere la sete e cessare di faticare nel venire ad attingere alla fonte di Giacobbe. 
 
La Legge infatti non disseta e affatica coloro che ad essa si applicano per attingere nelle sue profondità il senso spirituale. Al contrario il Vangelo sale verso la vita eterna come fonte viva dall’intimo di ciascuno dei credenti. La Samaritana ancora non comprende, forse fraintende, ma inizia a credere; infatti chiede come già Gesù le aveva detto: «Tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato dell’acqua viva» (v. 10). Ascoltare il Signore e chiedere ciò che ancora non si conosce a chi ancora non si è pienamente rivelato, questo è già fede. L’acqua inizia a zampillare nell’intimo della donna, zampilla nel desiderio, zampilla nella richiesta e, chiedendo, la Samaritana comincia a dissetarsi non più alla sorgente di Giacobbe ma al Signore stesso. Lo Spirito infatti comincia a farsi presente in gemiti inesprimibili (Rm 8,26) nel cuore della Samaritana. Se la Samaritana non fosse venuta alla sorgente di Giacobbe non avrebbe potuto incontrare e conoscere il Cristo. 
 
L’improvviso cambiamento, che Gesù introduce nel suo discorso, ha come scopo di portare la donna a conoscere chi è Colui che le sta parlando e quindi ad accogliere il dono che Gesù le sta facendo. Egli pertanto entra nella situazione personale della donna e tocca, con molto garbo un argomento che certamente non dà buona fama alla donna. Gesù procede come il medico che vuole sanare le ferite che sono nella Samaritana in modo che sia in grado di conoscere ed accogliere il dono di Dio.
 
In risposta all’invito di Gesù, la donna dichiara di non avere marito. Essendo presso la fonte di Giacobbe, la donna conosce la verità, che è testimoniata dalla Legge, e dichiara di essere priva di marito anche se questo non significa che sia vergine. Gesù conferma quanto la donna dice: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Egli accoglie la risposta della Samaritana benché incompleta ed equivoca e, partendo da questa parziale ammissione, le rivela tutta la sua situazione. Solo dopo che le ha detto tutto, anche quello che ella nasconde perché si vergogna, Egli afferma: In questo hai detto il vero». Solo Gesù può rivelare pienamente il vero di ciascuno di noi. Dalle nostre labbra la verità esce solo in modo parziale. Più Gesù rivela se stesso a noi più ci fa conoscere a noi stessi. Egli penetra gradatamente nelle nostre coscienze come luce che illumina le nostre tenebre.
 
I nostri padri hanno voluto penetrare nel senso spirituale di queste parole e, seguendo i profeti, hanno visto nella Samaritana l’immagine della sposa infedele al suo Dio. Gesù, il vero sposo, è venuto e l’ha aspettata alla fonte di Giacobbe per ricordarle le sue infedeltà e riportarla al patto nuziale da lei tradito. La dimensione sponsale, che è in noi, diviene adulterio quando tradiamo il patto che ci lega al nostro Dio e ci uniamo alle potenze spirituali nemiche del Cristo. Allora il Verbo, fattosi Carne, viene alla sorgente di Giacobbe e ci attende per ricordarci la nostra infedeltà e per farci ritornare a Lui ravvivando in noi la conoscenza e promettendoci il dono dell’acqua viva zampillante verso la vita eterna. 
 
La conoscenza, che Gesù ha manifestato della situazione personale della donna, porta questa a dichiarare: «Signore, vedo che tu sei profeta». I suoi occhi cominciano ad aprirsi. Colui che le parla è profeta. Davanti al profeta la Samaritana pone la questione principale che oppone giudei e samaritani. Ella, abilmente, contrappone i nostri padri e voi giudei includendo anche Gesù all’interno di questi come già aveva fatto in precedenza. Si contrappone l’autorità dei padri, che hanno scelto questo monte per adorare Dio, a quella dei profeti dei giudei (tra i quali la donna include colui che le sta parlando), che invece hanno scelto il tempio che è in Gerusalemme. 
 
Gesù è posto di fronte a un dilemma antico, che contrappone tra loro due categorie depositarie della rivelazione: i padri e i profeti. Da questa contrapposizione si può cogliere anche un altro aspetto: Il santuario di Samaria è più antico di quello di Gerusalemme. Il fatto che poi Gesù sia dentro lo spazio sacro del santuario di Samaria (che comprende il terreno, la sorgente e il monte) e vi sia come profeta, per la donna è già un segno dell’importanza e probabilmente della superiorità di questo santuario. Gesù inizia la sua rivelazione circa il luogo dell’adorazione comandando alla donna di credere a Lui. Già la Samaritana ha riconosciuto che Gesù è profeta ed è solo credendo che può giungere alla perfetta conoscenza. La porta dell’intelligenza spirituale è la fede in Gesù. Anzitutto Gesù dichiara che è terminato il tempo in cui si adora Dio in un luogo terreno, sia esso scelto dai padri per rivelazione divina. Il luogo di culto è determinato dalla dimensione terrena della religione sia samaritana che ebraica. Esse sono legate a realtà terrene che sono ombra di quelle future (Eb 10,1). Ma viene l’ora in cui l’ombra cede il posto alla realtà, che Gesù chiama poco dopo verità. Infatti Egli afferma: adorerete il Padre non “adorerete Dio”. 
 
Gesù, dopo questa rivelazione, continua a rispondere alla Samaritana ponendosi tra i giudei. Egli afferma che i Giudei sono i veri discendenti dei padri e dei profeti perché hanno custodito il culto legale fondato sulla retta conoscenza di Dio. Ne deriva quindi come conclusione che la salvezza viene dai giudei. Gesù risponde anche a un’implicita attesa: il Messia proviene da Israele (cfr. Rm 9,4-5). Israele è quindi il popolo eletto che custodisce la rivelazione e dal quale proviene la salvezza, cioè il Cristo.
 
Dicendo: viene l’ora ed è questa, Gesù annuncia se stesso. Con la sua presenza cessano gli adoratori di Dio mediante i simboli tratti da questa creazione e hanno inizio i veri adoratori. Passando dall’ombra alla verità, si passa dall’adorare Dio all’adorare il Padre. Veri adoratori sono quindi i figli. Generati dal Padre, i suoi figli lo adorano in Spirito e verità. Lo Spirito Santo è il principio della rigenerazione e diviene quindi “il luogo” dove adoriamo il Padre. L’adorazione del Padre è l’espressione più alta del nostro essere figli ed è la manifestazione che non siamo più sottomessi alla Legge. Adorare il Padre in Spirito e verità è adorarlo non più stando fuori ma entrando nel mistero stesso di Dio, nell’intimo delle tre divine Persone. Lo Spirito ci colloca nel Figlio e in Lui e con Lui possiamo adorare il Padre.
 
Dio è spirito. Questa affermazione è pure rivelazione. Dio non appartiene a questa creazione, quindi non può essere relegato in qualche luogo. Dio è spirito. Per incontrare Dio è necessario essere nello Spirito e non nella carne, cioè è necessaria la rigenerazione dall’acqua e dallo Spirito perché la carne non giova a nulla (Gv 6,63). Dio è spirito perché è colui che dà la vita, come è scritto: e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente (Gn 2,7). Non vi può essere un’altra relazione con Lui se non quella che Egli stesso stabilisce comunicando il suo Spirito. La presenza dello Spirito fa essere verità ciò che prima era figura. Non c’è quindi più bisogno di uno spazio fisico per relazionarsi a Lui ancora in modo imperfetto ma, al contrario, entrando nello Spirito, noi possiamo adorarlo nella verità.
 
Gesù ha portato la donna a un ulteriore grado di conoscenza. Ella infatti dichiara: «So che il Messia, che è chiamato il Cristo, viene». Ella non dice: «verrà» ma viene come a confessarne la presenza. Le parole di Gesù l’hanno resa consapevole della sua venuta, ma ancora non sa chi sia. Avendo creduto a colui che le sta parlando, la donna sa che il Messia viene. Certamente aveva ascoltato dalla fede del suo popolo che sarebbe venuto il Messia, testimoniato dalla Legge. La donna esprime ora quale sia la missione del Messia: «Quando egli verrà ci annuncerà ogni cosa». Il Messia annuncia ogni cosa, quello che ora è ancora nascosto sotto il velo della Legge. Da qui apprendiamo che Gesù, pur avendole rivelato cose nuove, non ha ancora detto tutto. Egli ha ancora rivelato in parabole e non apertamente (16,25). La donna ha già bevuto dell’acqua viva ed è già salita sulla vera montagna per adorare il Padre, ma non è ancora giunta alla perfezione. Gesù ha suscitato in lei un desiderio talmente forte da dichiarare imminente la venuta del Messia. A tale desiderio Gesù risponde rivelando se stesso:
 
«Io sono, Colui che parla a te». Non si può resistere allo splendore della rivelazione. Nel dire Io sono Gesù non solo conferma di essere il Messia, ma rivela anche il suo Nome divino, quello che rivelò a Mosè nel Roveto. Dicendo: Colui che parla a te, Egli rivela di parlare a lei come parlò ai padri e ai profeti quando rivelò la sua gloria. Divenuto Carne, il Verbo continua a rivelarsi. Ora la donna sa chi è colui che le parla e conosce il dono di Dio che Gesù le ha fatto. È giunta alla conoscenza e non ha più bisogno di attingere acqua dalla sorgente di Giacobbe.

 




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SR. Donata

13/03/2020 | 14:34

Bravissime!!!!!! grazie, un bel aiuto per comprendere e pregare la Parola di Dio

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