Lectio divina della I Domenica di Quaresima - Anno A
Inserita il: 28/02/2020
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Mt 4, 1-11
“Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo”
In quel tempo, 1Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. 2E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. 3Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». 5Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio 6e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede». 7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo». 8Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai». 10Ma Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto». 11Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servirono.
CONTESTO E TESTO
Nella prima domenica di Quaresima dell’anno A, la liturgia della Parola ci invita a contemplare il mistero del male, quel passaggio drammatico dal giardino al deserto, che rese l’uomo schiavo delle sue passioni e incapace di vincere il male. Ma assistiamo anche al passaggio dal vecchio Adamo peccatore, al nuovo Adamo innocente, che nel deserto va a stanare il nemico del genere umano, che vi si è insediato come un padrone e da lì pretende di indurre al male anche Gesù, che vi è stato condotto dallo Spirito Santo proprio per sconfiggerlo. La prima lettura ci narra la creazione dell’uomo che viene posto da Dio in un giardino, l’Eden, ma che non sa resistere alla tentazione dell’autosufficienza e spezzando la relazione con Dio si ritrova nel deserto di spine e triboli.
Il Vangelo di Matteo ci narra le tentazioni di Gesù che nel deserto vince il tentatore attraverso il totale affidamento al Padre. Nella seconda lettura l’apostolo Paolo, scrivendo ai Romani, descrive l’obbedienza al Padre di Cristo, nuovo Adamo che vince la morte, quella morte che il vecchio Adamo aveva introdotto nel mondo con il suo peccato. Il salmo 51, che pregheremo in forma responsoriale, è il famoso Miserere in cui Davide peccatore invoca il perdono di Dio con accenti accorati, esprimendo così anche la nostra responsabilità personale nella tragedia del peccato, che ha inquinato il cuore umano.
Le tre letture di questa prima domenica di Quaresima, danno inizio a un itinerario catecumenale, in preparazione al Battesimo, che si celebra la notte di Pasqua. Il punto di convergenza tematica delle tre letture lo troviamo nella figura di Adamo, del quale si parla sia nella prima lettura, tratta da Genesi 2 e 3, che nella seconda, tratta dal capitolo 5 della lettera di Paolo ai Romani. Mentre il primo Adamo, (l’adam-uomo, adamah-terra) dubitando di Dio, introduce nel mondo il peccato e con il peccato, la morte, Cristo, il nuovo Adamo, vince il male e la morte con la sua fiduciosa obbedienza al Padre. Ed è proprio il Vangelo che presenta alla nostra contemplazione Cristo che vince la tentazione e le insidie del diavolo.
VATTENE, SATANA!
Il testo evangelico ci propone l’esperienza di Gesù nel deserto, in preghiera e digiuno per quaranta giorni, per lottare e vincere il tentatore. È lo Spirito Santo che conduce Gesù nel deserto ed è lo stesso Spirito santo che ci guida nel nostro cammino quaresimale di conversione in preparazione della Pasqua. Il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto si colloca all’interno del “prologo ampio” del Vangelo di Matteo, che contiene i racconti dell’infanzia di Gesù e l’inizio della sua vita pubblica, costituito dalla predicazione del Battista e dal successivo battesimo di Gesù.
Rispetto ai testi degli altri due sinottici possiamo notare che Matteo amplia con molti particolari lo scarno racconto di Marco. Anche Luca si diffonde anch’egli in molti particolari ma con una diversa prospettiva teologica. Matteo, utilizzando la forma narrativa del midrash ebraico, ha lo sguardo rivolto al passato: Gesù, condotto dallo Spirito nel deserto, ripercorre l’esperienza dell’Esodo, il cammino del popolo d’Israele verso la terra promessa, mentre Luca guarda al futuro, rileggendo le tentazioni di Gesù alla luce della Pasqua.
Nel testo di Matteo spicca il modo diverso di nominare il tentatore: il nome più comune e più ripetuto è diavolo, che traduce una parola greca, diábolos, che vuol dire colui che divide, frantuma, separa da Dio, esattamente il contrario di sýmbolos che indica una realtà che unisce, che mette insieme. Matteo lo chiama anche il tentatore, un modo usato anche da Paolo per definire il satana (Cf 1Ts 3,5 e 1Cor 7,5). Gesù lo sfida chiamandolo satana (ha satan) che significa l’avversario e che in ebraico è quasi sempre con l’articolo.
Gesù è nel deserto di Giuda: un luogo inospitale che evoca fame e sete, luogo tradizionale di abitazione dei demoni. Gesù vi rimane un lungo tempo, quaranta giorni e quaranta notti, tempo che richiama l’esperienza di Mosè sul Sinai (Es 24, 18; 34, 28) e quella di Elia nel deserto. Ambedue questi personaggi sono presenti con Gesù al momento della sua Trasfigurazione, il cui racconto ascolteremo nella seconda domenica di Quaresima.
In quel tempo, dopo che fu sceso su di Lui lo Spirito e fu proclamato Figlio dalla voce paterna, Gesù fu condotto dallo Spirito, perché appaia che quanto in Lui accade non proviene dalla carne e dal sangue, ma dallo Spirito. Infatti quel che è generato dalla carne è carne e quel che è generato dallo Spirito è Spirito (Gv 3,6). È condotto nel deserto non per meditare sulla sua missione ma per essere tentato dal diavolo, in tutto fatto simile a noi fuorché nel peccato (cfr. Ebr 4,15).
Durante i quaranta giorni e le quaranta notti Gesù non ebbe fame come era accaduto a Mosè al monte Sinai (cfr. Es 34,28). La presenza dello Spirito nella sua natura umana e la conseguente immersione in Dio sospendono nella natura il desiderio e la necessità del cibo e dell’acqua. Egli infatti altrove dice: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere l’opera sua» (Gv 4,34). Per essere tentato, alla fine Egli ebbe fame. La fame non è la conseguenza del lungo digiuno ma è il motivo della tentazione come per il popolo nel deserto. Passando dall’interiore sazietà dello Spirito alla fame corporale, Gesù è consegnato alla tentazione. Le parole che seguono si fondano su questa situazione, sulla necessità di soddisfare il suo appetito. Gesù si trova in una necessità primaria.
La tentazione si enuclea attorno alla proclamazione della sua filiazione divina. Il tentatore lo vuole persuadere ad applicare la sua potenza divina a sostegno della sua debolezza umana. L’annientamento e l’umiliazione del suo essere uomo possono essere facilmente eliminati dal suo manifestarsi come Dio. Il tentatore vuole vedere in quella natura resa ancora più debole dalla fame un segno di quella divinità proclamata dal Padre. Ma Gesù resta nel suo annientamento. È anticipato lo scandalo della Croce.
NON DI SOLO PANE VIVE L’UOMO
Gesù cita la Legge (Dt 8,3). Questa testimonia la sua totale dipendenza dal Padre che lo nutre con la sua Parola. Nella sua situazione di affamato si appella a questo nutrimento spirituale come a fondamento di tutto. Il Padre è sempre tale e non abbandona il Figlio che rinuncia a ogni forma di autonomia e si appella alla fedeltà di Dio alla sua Parola. Qui sta la fede del Cristo, sorgente e forza della nostra fede. Provato, resta fedele a quella Legge che Lui stesso aveva dato a Mosè sul monte Sinai.
Dal deserto a Gerusalemme, la città santa, nel Tempio. La tentazione avviene là dove è il centro vitale d’Israele, il vertice di questa creazione visibile. Qui il Cristo è tentato di uscire dal suo annientamento, venendo dall’alto del Tempio sorretto dagli angeli, manifestando così la sua signoria su di loro e manifestando pure la sua gloria come altrove dice: «Verrà il Figlio dell’uomo nella sua gloria e tutti i suoi angeli con lui» (25,31). Ma egli non esce dall’annientamento della sua obbedienza come non scenderà dalla Croce quando sarà invitato a farlo: «È il re d’Israele, scenda ora dalla Croce, e crederemo in lui. Ha confidato in Dio, lo liberi ora se lo ama; ha detto infatti: “Di Dio sono Figlio”» (27,42-43). Gesù rifiuta ogni manifestazione di potenza e di gloria fuori dell’obbedienza del Padre.
Tentato dal satana perché si riveli nella sua gloria, Gesù risponde con lo scritto, che illumina il precedente. Poiché è Figlio, ogni sua azione è obbedienza ai tempi e ai momenti del Padre. Ogni dichiarazione e manifestazione di autonomia diventa tentare Dio. Infatti in questo consiste il tentare Dio: pretendere che Egli sia obbligato a fare quello che noi vogliamo e metterci in condizioni che a noi appaiono come obbliganti per Lui di fare quello che vogliamo. Infatti il luogo dove il popolo ha tentato il Signore è Massa e Meriba, là disse: «Il Signore è in mezzo a noi si o no?» (Es 17,7). La prova cui siamo sottoposti si trasforma allora, da parte nostra nel tentare il Signore. La tentazione è dubitare dell’efficacia della sua presenza tra noi.
Il diavolo porta il Figlio su un monte molto alto, lo innalza su un luogo alto che appartiene alla terra per conferire alla sua natura umana il senso del dominio e inebriarla con questa visione. Gli mostra per la sua potenza spirituale di principe di questo mondo, tutti i regni del mondo e la loro gloria, glieli mostra secondo la sua visione. La tentazione consiste nell’entrare nell’ottica del diavolo come fa l’anticristo e abbandonare la visione del Padre. Egli, spogliato della sua gloria perché annientato, è invitato a rivestirsi della gloria dei regni della terra. Come sempre la tentazione consiste nel rinunciare al suo svuotamento per riempirsi immediatamente di qualcosa che lo manifesti. È tentato dal diavolo di uscire da questa obbedienza fino alla morte e alla morte di Croce per manifestarsi con una potenza divina, messianica e regale. Ecco le tre tentazioni.
È quanto compie l’anticristo; egli adora il diavolo per avere il possesso di tutti i regni della terra e compiere la grande lotta contro il Cristo. Non adorando il satana, il Cristo ha reso stranieri e pellegrini anche i suoi discepoli. Infatti alla bestia fu dato potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione. L’adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello immolato (Ap 13,7-8). Il Cristo si rende estraneo a questo potere e rende estranei i suoi discepoli, perciò egli diviene l’Agnello immolato.
Gesù opera un giudizio anticipato dicendo: «Vattene, Satana!». È il giudizio della condanna. Risuona sulle sue labbra quella parola che condannò il Satana e che condannerà, nell’ultimo giorno, quanti saranno alla sua sinistra. In questo si rivela la sua signoria cui il satana è sottoposto. Alla sua autorità aggiunge l’autorità delle divine Scritture. La parola, che Gesù cita, si fonda sull’unicità di Dio così fortemente professata nel Deuteronomio. Da questa unicità, che implica l’alleanza (il Signore tuo Dio), deriva l’unica adorazione e l’unico culto. Gesù definisce Dio il suo Dio, quindi a Lui legato con un vincolo indissolubile di fedeltà, di obbedienza, di servizio e di adorazione. Da questo rapporto il satana è escluso come allo stesso modo il Regno dei cieli non si realizza attraverso la gloria dei regni della terra. Infatti il Regno non si attua attraverso la gloria terrena, ma nell’umiliazione della Croce del Cristo.
Cessata la presenza dello spirito tentatore, il diavolo, gli angeli inviati da Dio, si avvicinano e lo servono sottolineando la sua signoria su di loro. È scritto infatti: E lo adoreranno tutti gli angeli di Dio (Ebr 1,6). Questo servizio è prima di tutto adorazione e sottomissione a Lui. Ed è pure servizio alla mensa.
IN ASCOLTO DEI PADRI NELLA FEDE
«Queste letture, se bene ascoltate, prendono sempre, ogni anno, l’intimità profonda del nostro animo e ci richiamano le verità fondamentali che non sono mai abbastanza presenti al nostro spirito come dovrebbero essere. Ci dicono che l’uomo ha peccato per orgoglio e per disobbedienza. Fatto da Dio, l’uomo ha ricevuto da Lui tutto, è divenuto anima vivente; ha ricevuto ogni dono e ogni prerogativa; e tuttavia ha peccato per orgoglio, ingratitudine, disobbedienza; ha ceduto alla sottile tentazione di sottrarsi al Dio della vita, di cercare una sua autonomia, una sua grandezza propria, e così ha trovato solo la via della morte. Ma il peccato di Adamo è stato riscattato e tutto è stato restituito all’uomo con una sovrabbondanza che supera quella antica, mediante l’obbedienza del Cristo».
«Il Vangelo Ci fa vedere l’Unico Giusto nel suo atteggiamento fondamentale di perfetta obbedienza a Dio: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Attenzione suprema, come dice il salmo 122: “Come gli occhi del servo alla mano del suo padrone”. Basta un cenno perché il servo fedele senta di dovere essere consegnato tutto nelle mani del suo Signore. “Non tenterai il Signore…” Quante volte Lo tentiamo, facendo con intenzione deliberata e sconsideratezza dei gesti senza senso, mille volte insipienti.
Egli ti dà tutto perché tu possa camminare nelle sue vie e sei tu che insipientemente ti butti ai margini della strada, fuori della rotta del Signore, nella rotta della morte, con piccoli gesti voluti e sostenuti con ragionamenti ed artifici. Così la Quaresima è un mistero sacramentale che può e deve tuffarci nel grande Mistero e operare la nostra conversione. Dobbiamo credere e approfittare di questo enorme tesoro senza limiti. Tutte le Eucarestie devono essere riunite in un solo atto dall’intenzione quaresimale, dal principio alla fine, senza che si interrompa mai questo nostro desiderio»
(d. G. Dossetti, appunti di omelia, 1987).