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Lectio divina della II Domenica del Tempo ordinario - Anno A

Inserita il: 16/01/2020

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Gv 1,29-34
“Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”

 
 
29In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. 31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». 32Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. 34E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

 
 
 
CONTESTO E TESTO
In questa domenica, che papa Francesco ha proclamato Domenica della Parola, la liturgia ci invita ancora ad accogliere la testimonianza che Giovanni, il Battista, rende a Gesù, definito l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Giovanni ha potuto contemplare Gesù proprio nel momento in cui, battezzandolo, ha visto scendere lo Spirito su di Lui: “Io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio”.
 
Giovanni Battista è l’ultimo dei profeti, ma prima di lui abbiamo molte testimonianze su Colui che doveva venire, come ci ricorda la prima lettura tratta dal profeta Isaia: “Mio servo tu sei. (…) Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra”. E il salmo 39 ci fa pregare con la stessa parola del Messia, che obbedisce al Padre: “Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà”. Mentre l’apostolo Paolo, nella seconda lettura, tratta dalla prima lettera ai Corinzi, si rivolge a noi tutti chiamandoci “santi per vocazione”, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo.

APPROFONDIMENTO DEL TESTO
In quel tempo (alla lettera: Il giorno dopo). Ecco il nuovo giorno, quello fatto dal Signore, in cui risplende la vera luce. Essa ora risplende agli occhi di chi crede.
 
Giovanni vede perché è profeta (cfr. 1Sam 9,9). l’autenticità della profezia è data dalla visione del Cristo. Vedendo, Giovanni gli dà testimonianza e lo indica come l’Agnello di Dio, il preesistente e come colui che battezza nello Spirito Santo. Giovanni vede Gesù che viene verso di lui. Così è rivelato chi è colui che sta in mezzo ai giudei senza che questi lo conoscano: è Gesù. Questi viene verso Giovanni perché la profezia giunge al suo compimento. Come Gesù fu introdotto nel mondo attraverso la vergine Maria, così ora entra in Israele attraverso Giovanni. Il Verbo si è sempre rivelato ai suoi servi, i profeti, e da loro è stato fatto conoscere al popolo. Così ora, divenuto Carne, viene visibilmente verso Giovanni che ne contempla le profondità. “La fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono” (Ebr 11,1). Vedendolo Giovanni dice: Ecco. È qui, è presente. Tutti vedono un uomo, e lo indica come l’Agnello di Dio.
 
Gesù è l’Agnello, che Dio ha scelto e che gli appartiene. Egli è la vera vittima che, innalzata, realizza la nuova Pasqua. In Lui converge sia la Legge, che lo contempla come l’Agnello pasquale, sia la profezia, che lo indica come il Servo del Signore, che è come l’Agnello condotto al mattatoio (Is 53,7). Giovanni ascolta quello che “Cristo dice, entrando nel mondo: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo poiché di me sta scritto nel rotolo del libro per fare, o Dio, la tua volontà” (Ebr 10,5-7). Questa è l’unica azione sacerdotale di Giovanni: designare la vittima, scelta da Dio, per l’unico e perfetto sacrificio. Egli lo vede venire a lui attraverso l’acqua ma già lo contempla venire al mondo attraverso il sangue della sua immolazione. La profezia, che in Giovanni è visione, contempla tutto il mistero del Cristo.
 
Gesù è l’Agnello di Dio anche con riferimento al sacrificio quotidiano, quello che la tradizione di Israele chiama il Tamìd; esso veniva offerto due volte al giorno, come è detto in Es 29,38-46. Questo è il sacrificio costitutivo d’Israele ed è accompagnato dal fior di farina, dall’olio e dal vino. Questi, nella nuova economia, diventeranno i segni sacramentali nei quali si esprime l’azione sacrificale dall’Agnello come immolato (Ap 5,6).
Gesù ricapitola in sé il sacrificio perenne, l’Agnello pasquale e il Servo sofferente preannunziato da Isaia nell’immagine dell’agnello.
 
La sua missione è quella di togliere il peccato del mondo, come è detto in 1Gv: sapete che egli è apparso per togliere i peccati e peccato in lui non c’è (3,5). L’uso del singolare e del plurale c’insegna che il peccato è visto nella sua globalità, come situazione in cui il mondo si trova, ed è considerato come azione personale, come dice anche altrove: ed egli è propiziazione dei nostri peccati, non solo dei nostri, ma anche di quelli di tutto il mondo (1Gv 2,2). Il peccato è la forza con cui il satana tiene il mondo in suo potere (ivi, 5,19). Gesù con il suo sacrificio, distrugge questo potere che satana esercita sul mondo con la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e l’orgoglio della vita (cfr. ivi, 2,16). Il Figlio di Dio è apparso per sciogliere le opere del diavolo (ivi, 3,8). La carne del Cristo, concepita dallo Spirito Santo, è plasmata nel grembo materno per il sacrificio perché Dio “ha mandato il proprio Figlio nella somiglianza di una carne di peccato e riguardo al peccato e così egli ha condannato il peccato nella carne” (Rom 8,3). 
 
Guardando a Lui, che viene a noi come l’Agnello di Dio, veniamo liberati dal potere del peccato che è nel mondo. La nostra carne lavata dall’acqua nel Battesimo, nutrita dalla sua carne e inebriata dal suo sangue nell’Eucaristia, viene sciolta dalla schiavitù del satana. Solo guardando a Lui siamo liberati dai morsi dell’antico serpente e se anche siamo avvolti dalla fiamma della concupiscenza mondana, noi cantiamo in essa le meraviglie di Dio e, per virtù sua, non veniamo toccati. Sentiamo sempre l’efficacia del suo sacrificio se, con fede, volgiamo lo sguardo a Colui che hanno trafitto (cfr. Gv 19,37).

Ripete quanto ha detto al v. 15. Qui dice: Egli è colui (Costui è) perché lo indica; là ha detto: costui era perché in principio era il Verbo. Prima ha annunciato ma non ha potuto indicare, ora lo indica confermando che in lui vi è lo Spirito della profezia. Giovanni dà testimonianza a Gesù e dà testimonianza a se stesso che quanto ha detto è vero.
Gesù, in quanto uomo, viene dopo di lui, perché termine della Legge è Cristo (Rom 10,4). Ma Giovanni testimonia che Gesù è più grande di lui perché, dice, era prima di me, cioè era prima della profezia. Egli è uomo ed è l’Agnello di Dio: incarnazione e sacrificio sono iscritti nel Verbo. Questo è l’annuncio proprio della profezia: essa proviene dal Padre, annuncia Colui che è e ciò che deve accadere nell’esistente. Già il profeta Zaccaria aveva detto: “Ecco un uomo che si chiama Germoglio” (6,12).
 
Giovanni dichiara di non averlo prima conosciuto. Non sono perciò motivazioni umane a indicare Gesù come l’Agnello di Dio e Colui che era, ma è solo la rivelazione del Padre, come accadrà pure a Pietro (cfr. Mt 16,17). La rivelazione e quindi la profezia provengono da Dio e manifestano a Israele quell’aspetto del disegno di Dio che egli comunica ai suoi profeti. Essi lo manifestano con segni che danno garanzia al popolo che sono inviati da Dio. Il segno che Giovanni compie è battezzare con acqua. In esso Gesù viene manifestato a Israele, come già precedentemente l’Evangelo ci ha detto.
 
Gesù viene quindi verso Giovanni per passare attraverso l’acqua del suo battesimo. Quello che gli altri evangelisti esprimono in forma di racconto, qui ci è comunicato come testimonianza di Giovanni. I profeti precedenti a Giovanni hanno annunziato il Cristo attraverso i segni, che dovevano compiere, e le parole; Giovanni compie un segno attraverso il quale Gesù passa ed è rivelato dal Padre.
 
Dopo aver indicato Gesù come l’Agnello di Dio e Colui che era prima di lui, ora Giovanni dà testimonianza che Egli è il Cristo. Come, infatti, dopo che Samuele ebbe unto Davide “lo Spirito del Signore si lanciò su David da quel giorno in seguito” (1Sam 16,3), così ora Giovanni, come profeta, dà questa testimonianza di Gesù: ho contemplato lo Spirito. 
 
Giovanni non compie nessun’azione: egli vede il Cristo venire verso di lui, verso l’acqua, e vede lo Spirito che scende dal cielo e rimane, in modo definitivo, su Gesù. Mentre Samuele unse Davide, Giovanni non unge Gesù e qui non è nemmeno detto che lo battezza perché si vuole rivelare solo che il profeta è testimone di quello che Dio compie su Gesù. Gesù viene verso Giovanni e lo Spirito si rende visibile come colomba che discende dal cielo e rimane su di Lui. Lo Spirito si rivela come colomba per mostrare in che modo è presente e dimora nel Cristo. Egli stesso dice: «Siate semplici come colombe» (Mt 10,16). Gesù appare tra noi semplice, mite e umile di cuore.
 
Lo Spirito discende dal cielo come colomba. Nell’A.T. il verbo discendere è usato per il Signore che scende per vedere la città (cfr. Gen 11,5.7); per la sua gloria che discende sul monte (cfr. Es 24,16; 33,9; 34,5; ecc.). è detto del fuoco che Elia fa discendere dal cielo (cfr. 2Re 1,10). In Is 63,14 secondo la LXX (70), si dice: “come armenti attraverso la pianura, discese lo Spirito da parte del Signore e li guidò; così conducesti il tuo popolo per farti un nome di gloria”. Lo Spirito discende e guida il popolo nel deserto e compie imprese gloriose. 
 
Così ora Giovanni lo vede scendere su Gesù per guidarlo nella sua missione, che ha come scopo quello di dare gloria al nome divino, come è detto altrove. Lo Spirito discende dal cielo, cioè da Dio, e dimora su Gesù. È una presenza permanente e piena, perché a Lui appartiene lo Spirito. Questi dimora in Gesù come in un tempio. Quello che l’Apostolo dice di noi (cfr. 1Cor 6 19) molto più è proclamato del Cristo nel quale lo Spirito abita e mai viene allontanato. 
 
Lo Spirito è presente in Gesù non tanto in rapporto ai carismi quanto piuttosto in rapporto alla natura. La presenza dello Spirito in Gesù non è un dono di grazia ma è connaturale per il fatto che Gesù è il Figlio di Dio. In Gesù lo Spirito discende e resta per sempre in mezzo a noi perché in Lui ha trovato il suo riposo, come è detto in Is 11,2: “Si poserà su di Lui lo Spirito di Dio”. Per questo apparve sotto forma di colomba, per indicare il posarsi nella quiete: la colomba infatti fugge al minimo stormire delle fronde.

Per confermare l’origine divina della sua testimonianza Giovanni ripete: Io non lo conoscevo. Ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua: per rispetto non nomina il nome divino. Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito: Giovanni sa che il compimento della sua missione è nell’attuarsi delle parole che gli sono state rivelate. È lui che battezza nello Spirito Santo: in Lui lo Spirito rimane perché Egli lo comunichi. L’acqua è un segno, lo Spirito invece agisce, purifica e salva. Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia (v. 16), perché abbiamo ricevuto lo Spirito.
Ora al nostro sguardo si apre una duplice visione: quello che Gesù ha storicamente compiuto per donarci lo Spirito e i segni che Gesù compie perché sia dato perennemente a tutti i credenti di ogni generazione. La testimonianza di Giovanni ci orienta verso il primo segno che c’immette nello Spirito: il battesimo nello Spirito Santo. Vi è quindi continuità nel segno: l’acqua, ma differenza nel dono: lo Spirito Santo.

Nei sinottici la testimonianza è data dalla voce paterna, qui dalla profezia. Il titolo ha pertanto un valore messianico (cfr. 2Sam 7,13; Sal 2,7) che non esclude che in Gesù abbia un valore suo proprio. Lo testimonia il fatto che solo Gesù è chiamato con il termine greco hyios (Figlio), mentre per noi usa la parola tekna (1,12). Giovanni ha quindi il compito, proprio dei profeti, di designare il re Messia. Ma, a differenza degli altri profeti, egli non consacra Gesù re e questo sta a indicare che Gesù è il Figlio di Dio non nello stesso modo degli altri re che furono invece consacrati con l’olio.
 
La figura di Gesù appare completa nella testimonianza di Giovanni: di Lui già tutto è detto. Giovanni è ora capace di dare testimonianza alla Luce affinché tutti credano per mezzo di Lui (cfr. 1,79). Dobbiamo apprezzare il genio di Giovanni nel racchiudere un’intera cristologia in un solo breve episodio.
IN ASCOLTO DEI PADRI NELLA FEDE
“E’ vostro dovere rendere gloria in tutto a Gesù Cristo, che vi ha glorificati: così uniti in un’unica obbedienza, sottomessi al vescovo e al collegio dei presbiteri, conseguirete una perfetta santità. Non vi do ordini, come se fossi un personaggio importante. Sono incatenato per il suo nome, ma non sono ancora perfetto in Gesù Cristo. Comincio appena ora ad essere un suo discepolo e parlo a voi come a miei condiscepoli. Avevo proprio bisogno di essere preparato alla lotta da voi, dalla vostra fede, dalle vostre esortazioni, dalla vostra pazienza e mansuetudine (…). Procurate di operare in perfetta armonia con il volere del vostro vescovo, come già fate. Infatti il vostro venerabile collegio dei presbiteri, degno di Dio, è così armonicamente unito al vescovo, come le corde alla cetra. In tal modo nell’accordo dei vostri sentimenti e nella perfetta armonia del vostro amore, si innalzerà un concerto di lodi a Gesù Cristo. Ciascuno di voi si studi di far coro. Nell’armonia della concordia e all’unisono con il tono di Dio per mezzo di Gesù Cristo, ad una voce inneggiate al Padre, ed Egli vi ascolterà e vi riconoscerà, dalle vostre buone opere, membra del Figlio suo”. 
(Sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire, Lettera agli Efesini)

 




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