Lectio divina della III domenica di Avvento - Anno A
Inserita il: 13/12/2019
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Mt: 11,2-11
“Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”
2In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò 3a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 4Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». 7Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. 11In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
CONTESTO E TESTO
Le letture di questa terza domenica di Avvento ci aiutano a preparare il nostro cuore per accogliere il Signore che viene. E’ l’invito alla gioia che ci rivolge il profeta Isaia, ricordandoci come tutta la creazione canta con giubilo e noi possiamo giubilare, lasciando che lo Spirito santo canti in noi. Il deserto, la terra arida e la steppa sono terre prive di vita e quindi segno di morte. Ma essi si tramutano in terre piene di gioia e di esultanza per gli uomini aperti alla speranza e capaci di cantare nell’attesa. Come ci fa cantare il salmo 145, ripetendo l’invocazione: “Vieni, Signore, vieni a salvarci!”.
L’apostolo Giacomo, nella seconda lettura, scrive anche a noi l’invito a essere pazienti nell’attesa, cioè aperti ad accogliere la grazia della “macrotimìa” (pazienza in greco) cioè la capacità di portare i pesi quotidiani con cuore grande, senza lamentarci degli altri, lasciando a Dio il giudizio. Il giudice è alle porte, egli viene non solo nelle celebrazioni del Natale, ma soprattutto alla fine dei tempi ed anche nella nostra vita. Per questo siamo invitati ad essere sempre pronti ad accogliere il Signore che viene a prenderci per portarci al Padre. Il Signore viene ogni giorno e specialmente alla fine della nostra vita.
Il Vangelo di Matteo ci presenza la testimonianza di Gesù su Giovanni Battista che era stato incarcerato da Erode e che di là a poco sarà decapitato per il capriccio di una concubina. Fra i nati di donna, dice Gesù, non è sorto nessuno più grande di Giovanni Battista, eppure il più piccole del Regno dei cieli è più grande di lui. Anche Giovanni, pur essendo un profeta si interroga sulla figura di Gesù, esprime le sue incertezze e i suoi dubbi, ma poi si affida e si consegna donando la vita. Il Battista è per noi modello di attesa vigilante del Signore, un’attesa piena d’amore e di desiderio di farsi trovare pronti ad accoglierlo.
LA VOCE CHE GRIDA NEL DESERTO
La prima reazione alla missione dei dodici è quella dell’ultimo dei profeti. Qui risuona per l’ultima volta la voce di Giovanni, la voce che grida nel deserto (cfr. 3,3) e pone a Gesù la domanda ufficiale. Alla voce della profezia si unirà in seguito la voce del sacerdozio (cfr. 26,63). A queste due voci ufficiali Gesù risponde. Giovanni nel carcere sente parlare delle opere del Cristo. Del Cristo è detto nella profezia, che egli stesso cita: Mi ha mandato a proclamare ... la scarcerazione dei prigionieri (Is 61,1). Qui cogliamo una contraddizione tra la situazione di Giovanni e la parola del Cristo. I suoi stessi testimoni subiranno la prigione (cfr. At 5,21-23; 16,26).
La parola del Cristo scende con Giovanni nella prigione e ne illumina il significato. La fede in lui deve passare per lo scandalo della croce. A Giovanni in carcere giunge la notizia delle opere del Cristo. Ai suoi occhi quello che Gesù compie sono le opere del Colui che era atteso. Giovanni gli chiede se è il Veniente. Questo titolo è messianico, testimoniato nel Sal 117,26: Benedetto il veniente nel nome del Signore e in Ab 2,3: Aspettalo perché il veniente giungerà e non tarderà. Per Giovanni dalla risposta che Gesù darà si comprenderà se egli è il Veniente o lo sguardo deve passare oltre di lui e scrutare di nuovo l’orizzonte in un’ardente attesa del Veniente.
L’ascoltare è prima del vedere. Gesù infatti si rivela nell’evangelo, da quello che dice e poi la sua Parola è confermata con i segni che compie. L’ascolto è sufficiente per la fede perché lo rivela come il Cristo. Infatti solo credendo a quanto egli dice si può vedere e quindi comprendere come egli adempie le divine Scritture. Gesù elenca le opere da lui compiute. Queste sei opere del Cristo sono testimoniate dalla legge e dai profeti. Per i ciechi, storpi, sordi e muti è scritto nella profezia di Isaia: Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto (35,5-6). La purificazione del lebbroso è presentata in Lv 14,2-32.
La risurrezione dei morti è annunziata di nuovo in Isaia: Di nuovo vivranno i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri. Si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere (26,19) e così pure in questo profeta ci è definita la missione del Cristo come evangelizzazione dei poveri (cfr. 61,1). «Gesù compie questi segni, segnalati come messianici nella Scrittura, in un “apparato” cosi privo di potenza che questi segni possono essere occasione sia per dubitare che per credere» (Bonnard).
Volutamente si colloca in questa penombra della non evidenza perché non sono queste le opere per le quali siamo in lui beati; l’opera infatti che rende beata è la fede. Essa è la settima e l’ultima opera, la più perfetta, coronamento di tutto come lo è il sabato nella creazione. Questa sola introduce nel riposo messianico e fa beneficiare delle opere spirituali del Cristo. Essa è qui espressa nel suo contenuto negativo.
È beato colui che non si scandalizza di me percependomi come pietra di scandalo e non di salvezza. Più volte l’evangelo registra lo scandalo (cfr. 13,22: trova inciampo a causa della tribolazione e della persecuzione subita a causa della parola); di lui si scandalizzano quelli di Nazareth (cfr. 13,27), i farisei (cfr. 15,12); molti subiranno scandalo negli ultimi tempi (cfr. 24,10) e anche i discepoli lo subiranno durante la sua passione (cfr. 6,31-33). L’adesione a Lui deve passare attraverso svariate prove che costituiscono altrettanti ostacoli; solo chi sta saldo nella fede, senza affatto dubitare o allontanarsi da Lui, sarà veramente beato.
Gesù, nelle sue considerazioni, parte da un’immagine biblica. È detto infatti in 1Re 14,15: “Il Signore percuoterà Israele, il cui agitarsi sarà simile all’agitarsi di una canna sull’acqua quando è scossa dal vento”. Israele viene umiliato da Dio a causa dei suoi peccati, Giovanni invece viene percosso dagli uomini che l’hanno trattato come hanno voluto (17,l9) ed è apparso debole come una canna. In questa immagine è espressa la sua umiliazione cui deve sottostare perché così è scritto di lui.
Le folle tuttavia non hanno compreso che questa è la sorte dei profeti e sarà pure la sorte del Cristo, resosi debole come una canna, egli che durante la passione, sarà percosso sul capo con una canna e con questa sarà pure abbeverato sulla croce. Egli ha l’abito profetico (cfr. 3,4-6) e non quello dei cortigiani della casa di Erode dove è tenuto prigioniero. L’abito, che egli porta e lo rassomiglia ad Elia, deve far riflettere su Giovanni e sulla sua missione.
Giovanni è definito dal Cristo più che profeta perché egli stesso è annunciato dalle profezie. Egli è l’ultimo dei profeti, che sorge in Israele, e dopo di lui non sorgerà più nessun profeta perché egli è il messaggero inviato dal Padre immediatamente davanti al Cristo. Con la venuta di questi, cessa l’economia provvisoria e preparatoria della legge e si spegne il carisma profetico dell’attesa perché è venuto il profeta che tutto in sé ricapitola. La missione di Giovanni non è fine a se stessa ma è in rapporto a Gesù; se è presa in sé è fallita, se riferita a Gesù, essa presenta caratteristiche simili a quelle del Cristo.
Nella citazione composita fatta dal Signore si fondono in un’unica voce la testimonianza della legge (Es 23,20) e della profezia (Mal 3,1) per rivelare chi è Giovanni. Egli appartiene alla schiera dei messaggeri divini e, pur essendo vero uomo, compie una missione che lo uguaglia agli angeli di Dio. È infatti santificato fin dal grembo della madre.
In verità (alla lettera: amen) vi dico, affermazione solenne del Cristo: tra i nati da donna nell’economia della legge basata sulla carne e sul sangue e caratterizzata pertanto dalle genealogie, non è mai sorto uno più grande di Giovanni il Battista; nessuno tra i giusti, i patriarchi, i profeti e i saggi, è più grande di lui. Ma questa grandezza, legata all’economia del Vecchio Testamento, non è paragonabile a quella di chi appartiene al regno dei cieli dove il più piccolo è più grande di Giovanni.
Quindi i suoi discepoli, nel momento in cui si fanno piccoli e sono tali (cfr. 18,1-4), sono più grandi di colui che è più che profeta, è il precursore del Signore. Questa affermazione serve a introdurre il discorso seguente sul Regno dei cieli. Ora, dopo la cessazione della missione di Giovanni, è iniziato il tempo del regno dei cieli, il cui inizio e le cui caratteristiche coincidono con il Signore Gesù e la sua missione.
Lo scandalo è una possibilità continuamente annullata dalla fede, ma sempre presente nella nostra razionalità. La beatitudine non è quindi una sorta di benessere intellettuale e sensibile, ma va oltre perché è collocata nella fede e la fede inizia là dove lo scandalo proposto a noi dalla nostra sensibilità, dalla nostra sapienza e dal nostro stesso vivere, di cui si cerca incessantemente la ragione e l’estetica, è incessantemente superato con il sì alla Parola di Dio.
IN ASCOLTO DEI PADRI NELLA FEDE
“Beato l’uomo che conosce la propria debolezza e la propria ferita, poiché questa conoscenza diviene per lui fondamento, radice e principio di ogni bontà! Quando infatti uno impara a conoscere la propria debolezza e la percepisce in verità, allora concentra la propria anima lontano dalla vanità che oscura la conoscenza, ma tiene in se stesso, come un tesoro, la vigilanza… L’uomo che è giunto a conoscere la misura della propria debolezza, è giunto alla perfezione dell’umiltà” (Isacco il Siro, sec. VII).
«La domanda di Giovanni Battista è molto forte: Sei tu la presenza al di là della quale non si può dare altra presenza? Gesù risponde ricapitolando le profezie e aggiunge: Beato ... nonostante i segni c’è ancora una possibilità di scandalizzarsi. Fa l’elogio di Giovanni. Giovanni è il più grande uomo: egli è il mare e la convergenza finale di tutte le economie precedenti. Gesù nel dire questo, rivelando la grandezza di Giovanni, rivela la propria, non commensurabile: è il più grande, ma vi è qui chi è più piccolo, che è più grande di lui. La parola, l’annuncio della presenza è dato da coloro che sono stati piegati. Beato colui che non si scandalizzerà: lo scandalo è possibile anche dopo i miracoli perché la Croce è lo scandalo e di fronte ad essa tutti ci scandalizziamo: Tutti vi scandalizzerete ...Il problema è di andare oltre lo scandalo: in Gesù crocifisso la cosa non può passare liscia. Se guardiamo sul serio il Cristo Crocifisso, quando lo subiamo nella carne, allora è lo scandalo. È insensibilità e incomprensione non scandalizzarsi. Bisogna andare oltre lo scandalo: Beato ... Questa beatitudine va al di là dello scandalo: è in Giovanni che si realizza per prima. Questo verifica la parola ultima del Vangelo: il più piccolo: Gesù è il più piccolo perché annientato fino in fondo e noi siamo i più piccoli se accettiamo questo abbassamento»
(d. Giuseppe Dossetti, appunti omelia, 12.12.1971)