testata spagnolo testata italiano testata albanese testata cinese testata portoghese testata portoghese2 testata inglese testata latino testata coreano testata spagnolo2

Lectio divina della I domenica di Avvento - Anno A

Inserita il: 29/11/2019

1 commentario(i) ...

 
 
 
 
 
 
 
Mt 24, 37-44
“Tenetevi pronti, perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo”


 
 
In quel tempo, 37Gesù disse ai suoi discepoli: «Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 38Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell’arca, 39e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo. 40Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato. 41Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l’altra lasciata. 42Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 

 
 
 
CONTESTO E TESTO
La liturgia della Parola della prima domenica di Avvento ci parla del ritorno del Signore alla fine dei tempi e ci invita a vegliare per farci trovare pronti appena Egli arriva. Quindi non si tratta di attendere il Natale, ma la seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi. Nella prima lettura Isaia annuncia la pace universale, messianica, che possiamo gustare anche mentre siamo pellegrini verso la Gerusalemme celeste, come prega il Salmo 121: “Andiamo con gioia incontro al Signore”. 
 
Paolo scrivendo a noi, che siamo tutti simbolicamente abitanti di Roma, ci invita a considerare il valore del tempo: kairòs, che ci permette di prepararci all’incontro con il Signore Gesù. Egli viene sempre!
 
Con il nuovo anno liturgico riprendiamo la lettura del Vangelo secondo Matteo. Il testo di questa domenica è tratto dal capitolo 24, là dove l’evangelista riporta il discorso di Gesù sulla fine dei tempi e sul suo ritorno finale, ultimo, che in greco si dice parusia. Il termine parusìa si riferisce alla visita che gli imperatori o i loro funzionari facevano alle città e province del loro impero. In vista di tale visita si mettevano in ordine le case, i templi, gli edifici pubblici, le strade e i ponti. Ma la visita spesso avveniva all’improvviso e questo richiedeva di mantenere alta la vigilanza e i conti sempre in ordine.

COME AI GIORNI DI NOÈ
La venuta del Signore è paragonata ai giorni di Noè (cfr. Is 54,9). Si tratta di riconoscere che quello che avviene alla fine si manifesta già nell’oggi della nostra vita, tenere gli occhi e le orecchie aperti all’opera dello Spirito. In antico si trova soltanto Noè, con gli occhi aperti, cioè capace di discernimento. Egli si rende conto della corruzione dell’umanità e del dolore di Dio e rimane in dialogo con Lui per costruisce l’arca per mettersi in salvo perché sta per venire il diluvio. Purtroppo gli altri uomini non si rendono conto della gravità della loro situazione, e continuano a vivere il quotidiano in una specie di incoscienza. (Cfr Gn 6,5-8,22).
 
Il Signore paragona la nostra situazione di superficialità e incoscienza a quella dell’umanità prima del diluvio: il Signore viene continuamente e noi siamo distratti. Pensiamo la Chiesa come un anestetico e non come uno spazio di illuminazione, perciò mangiare, bere, sposarsi si può fare in modo possessivo o in modo aperto all’incontro con il Signore, benedetto da Lui e aperto alla sua Presenza. Siamo chiamati a stare attenti a non ridurre la vita a un orizzonte mondano, al modo di sentire e di vivere queste cose come unico fine della vita, senza un anelito di trascendenza e senza un’apertura all’opera di Dio. Senza questa apertura il tutto avviene quasi in modo istintivo: nutrirsi, riprodursi e basta, per cui l’unica prospettiva rimane la corruzione della morte.
 
Il parallelo con i giorni di Noè rivela che gli uomini saranno sorpresi nella loro vita ordinaria, se non avranno imparato a vivere quotidianamente nel discernimento e in relazione con il Signore. Chi ha idolatrato questo mondo, chi si è ripiegato sui propri interessi e sui propri beni, sulla ricerca del piacere ad ogni costo è destinato a veder perire ciò a cui aveva stoltamente legato il cuore. Gesù non sta minacciando castighi sta richiamando il significato fondamentale del vivere che è l’apertura a Dio e agli altri, sta mostrando il valore relativo di tutto ciò che noi tentiamo di assolutizzare, ci presenta il senso vero della salute e della malattia, della gioia e del dolore. 

DUE UOMINI IN UN CAMPO, DUE DONNE ALLA MOLA: IL SENSO VERO DEL LAVORO
L’uomo ha inscritto nel proprio DNA la somiglianza con il Creatore e sente il bisogno di lavorare, di dare continuità all’opera di Dio. Si sente realizzato quando riesce a dare una sua impronta alla creazione, ma poi corre il rischio di ritenere che il successo delle sue imprese sia sufficiente a riempire la vita e a farla durare. Gesù prende spunto dalle attività lavorative più comuni al suo tempo: per l’uomo era lavorare la terra, per la donna macinare il grano e preparare il pane. Vuole spiegare il senso vero del lavoro quotidiano: essere collaboratori di Dio nel riscattare la creazione dalle conseguenze del peccato. Il messaggio è attuale: se non mettiamo le nostre capacità al servizio del progetto di Dio, non capiremo il senso della nostra vita e non potremo vederne la pienezza nel Regno di Dio.
 
L’attesa in questo tempo è un fatto interiore che non si caratterizza con segni esterni. Ogni manifestazione esterna (che non sia il vegliare) può essere la presunzione di conoscere in anticipo il giorno del ritorno del Signore. Infatti questa presunzione genera fenomeni disapprovati dagli apostoli, quali l’astensione dal lavoro oppure espressioni di fanatismo. La vigilanza sta nel fare le azioni più ordinarie con la consapevolezza che siamo sempre in attesa del Signore che viene. Gesù invece di predirci il futuro, ci invita a vivere il momento presente come se fosse l’ultimo della nostra vita: cioè stare sempre con il Signore. Matteo ripete questo verbo vegliare, sia nel discorso riguardante il maggiordomo (cfr Mt 24, 45-51) che nella parabola dell’attesa dello sposo da parte delle dieci vergini (cfr. 26,38.41).

COME IL LADRO NELLA NOTTE
La terza immagine che Gesù usa è quella del ladro nella notte, perché sottolinea l’urgenza della vigilanza. L’immagine del ladro non è delle più gradevoli ma risulta molto efficace, infatti nella Chiesa delle origini divenne molto comune per indicare il ritorno del Signore: “Infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte”. (1Tes 5, 2); “Il giorno del Signore verrà come un ladro” (2Pt 3, 10); “Ricorda dunque come hai ricevuto e ascoltato la Parola, custodiscila e convèrtiti perché, se non sarai vigilante, verrò come un ladro, senza che tu sappia a che ora io verrò da te”. (Ap 3, 3) “Ecco, io vengo come un ladro. Beato chi è vigilante” (Ap 16, 15). Il pericolo è la distrazione, l’assuefazione alla mondanità, che non ci permette di accorgerci che ogni momento è il momento favorevole in cui il Signore viene per introdurci con Lui nel suo Regno, come uno Sposo che viene a prendere la Sposa per celebrare le nozze. 
 
Sappiamo che lo Sposo viene “nell’ora che non immaginiamo”, in quella in cui meno saremmo pronti ad aspettarlo. Quindi ci vuole sempre la stessa vigilanza. La sola sapienza possibile è quella della vigilanza, e dell’attesa piena di desiderio e di amore. 
 
La conclusione del brano riprende il tema e lo rilancia ai discepoli di tutte le generazioni: 44“Perciò anche voi state pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà»”.
 
Stare pronti non è un’ansia, una tensione psicologica che ci può stancare, ma è la gioia di custodire la relazione con il Signore, sapendo che Lui per primo non ci abbandona e rimane fedele, ci guida con il suo Spirito e perciò può portarci con Lui tranquillamente. La vita nuova con Lui è già cominciata con il Battesimo, e va crescendo sino alla pienezza.
 
Nella nostra vita talvolta facciamo l’esperienza amara di perdere delle opportunità, di non essere abbastanza attenti a quelle chiamate dello Spirito che vogliono aprirci nuove possibilità e quando ce ne rendiamo conto forse è troppo tardi. Le continue venute di Dio nella nostra vita sono difficili da riconoscere se non siamo allenati a quel discernimento spirituale, attraverso il quale la voce di Dio ci diventa familiare, per l’assidua frequentazione della sua Parola. Solo chi è sensibile a questa voce, chi la riconosce prontamente perché sveglio e vigilante nella preghiera, potrà accogliere la salvezza che viene qui e ora. 
 
Nella celebrazione dell’Eucaristia noi siamo già portati in alto, alla mensa del cielo, nella piazza d’oro della Gerusalemme celeste, e ogni giorno possiamo gustare in anticipo la pienezza della Vita nuova, vissuta nella comunione tra noi e con la Trinità Santa.

SANT’EFREM IL SIRO, VEGLIARE IN ATTESA DEL SIGNORE 
S. Efrem nacque attorno al 306, nella città di Nisibi, attuale Nusaybin (Turchia sud orientale), in Mesopotamia. Basandosi sulle sue opere si deduce che i suoi genitori facevano parte della crescente comunità cristiana della città. Ai suoi tempi si parlavano molte lingue nella sua città natale, in particolare dialetti armeni. La comunità cristiana utilizzava invece il siriaco. Quell’epoca fu contraddistinta da una grande tensione religiosa e politica. Nel 298 l’imperatore romano Diocleziano aveva stipulato un trattato con il re persiano sassanide Narseh (Nars%u012B), con il quale aveva ottenuto il trasferimento della città sotto Roma. Questa annessione ebbe come conseguenza che la giovane comunità cristiana dovette subire la persecuzione romana. Efrem venne battezzato all’età di 18 anni e fu attratto dalla vocazione monastica. Divenne diacono e il suo vescovo lo volle come insegnante. Compose inni e scrisse dei commentari biblici, nell’ambito delle sue mansioni educative. Nei suoi inni parla di sé come di un "pastorello", chiama il suo vescovo "pastore" e indica la sua comunità come "gregge". La tradizione vede in Efrem il fondatore della scuola di Nisibi, che nei secoli successivi fu il centro educativo della Chiesa d’oriente. Fu teologo e poeta di grande finezza spirituale e ci rimangono di lui molte omelie e molti Inni liturgici. Nelle sue opere egli è come affacciato sul mistero di Cristo che cerca di rendere visibile a tutti. “Il Pastore di tutto è disceso, si è abbassato a cercare Adamo, la pecora che si era perduta; sulle sue spalle l’ha portata, alzandola; era un’offerta per il padrone del gregge. Benedetta sia la sua discesa” (Inni della Risurrezione).

 




Leggi i commenti


Edit Fassano

29/11/2019 | 20:23

gracias hermanas por la lectio,muy lindo lo de san Efrem.unidas en vigilante oración,al Buen Pastor que nos salva.bendiciones a todas.

Scrivi un tuo commento


Suore di Gesù buon Pastore – Pastorelle

© 2004-2022 - www.pastorelle.org - Tutti i diritti riservati