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Lectio divina della XXXII Domenica del Tempo ordinario - Anno C

Inserita il: 08/11/2019

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Lc 20,27-38
“Dio non è dei morti ma dei viventi, perché tutti vivono per lui”
 

27In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – 28e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». 

CONTESTO E TESTO
Con questa domenica, trentaduesima del tempo ordinario, la liturgia ci introduce nel cosiddetto contesto escatologico degli eventi della salvezza, cioè nel loro compimento, che sono in prospettiva per il futuro, ma sono già iniziati, a partire dalla Risurrezione di Gesù. Siamo invitati a riflettere sulla nostra fede nella vita dopo la morte. La Chiesa, con le letture che ci propone, ci sta educando a fare questo itinerario verso il compimento del tempo della storia, ma anche verso il compimento del nostro tempo personale, nutrendoci della pazienza di Cristo, come ci ha ricordato l’autore della seconda lettera ai Tessalonicesi: i vostri cuori siano guidati all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo. 
 
È il tempo, dunque della pazienza, che non è passività, è energia interiore, che ci permette di resistere, pazienza in greco si traduce ypomoné, e indica proprio stare sotto senza cedere, sotto di Lui, sotto i pesi della storia, sotto le negatività che si esprimono insieme alla natura e, purtroppo, anche nella violenza degli uomini, non lasciandosi sconfiggere o deprimere dagli eventi, ma restando saldi in Cristo. 
 
È molto attuale questo, perché anche ai nostri giorni, se guardiamo quello che sta succedendo: terremoti, guerre, instabilità politiche, difficoltà enormi, anche sul piano della pacifica convivenza tra le diverse culture, osserviamo che molto di negativo viene espresso. Ma il negativo si vede anche dalle cadute da parte nostra, dovute alla nostra debolezza, alla nostra fragilità. Di fronte a questo possiamo essere tentati di cedere, deprimerci, sentirci quasi annichiliti da ciò che ci succede intorno e da ciò che succede anche dentro di noi. Sappiamo che la sofferenza non può venire dal Signore, perché il nostro Dio è il Signore della vita, eppure è difficilissimo convincersi di questo, perché tutto ciò che viviamo in noi e intorno a noi, tende a provare questa sofferenza. La fede ci dice che il Padre celeste, in Gesù, ha fatto sua questa sofferenza.

LA SFIDA DELLA FEDE NELLA RISURREZIONE
In questa pagina di Luca, troviamo Gesù, il Messia che siede nel suo Tempio santo, tempio che poco prima ha purificato. A Lui, in seguito a questo gesto purificatore, sono venuti i membri del Sinedrio per interrogarlo sulla sua autorità ed anche i farisei per sottoporgli la questione del tributo. Ora è la volta dei sadducei, che pongono la questione cruciale della risurrezione dai morti. 
 
I sadducei erano una corrente politica e spirituale, che raccoglieva l’aristocrazia sacerdotale e laica di Gerusalemme. «La loro ideologia presupponeva l’affermazione del concetto di uno stato nazionale particolare incentrato sul tempio» (cf. Grande Lessico del Nuovo Testamento GLNT, Meyer). Questo portò a creare la forma di autorità dei sadducei e al riconoscimento delle leggi loro proprie che caratterizzavano il periodo della dominazione romana su Israele. «Non ai farisei va attribuito il merito di essere riusciti con l’astuzia e con la decisione a tenere in vita, nell’impero romano, lo stato basato sul tempio, ma all’aristocrazia sacerdotale (sadducei) e a quella secolare che ne condivideva lo spirito» (ivi).

I SADDUCEI NEGANO LA RISURREZIONE DEI MORTI
I sadducei erano conservatori. Ammettevano solo l’autorità della Legge scritta e negavano ogni valore alla tradizione orale. «La corrente dei sadducei dice che è da considerare norma solo ciò che sta scritto nella legge di Mosè, mentre non si è tenuti ad osservare ciò che proviene dalla tradizione dei padri» (vedi Flavio Giuseppe, antologia 13,297). 
 
Questo rigore li portava a negare l’immortalità dell’anima e la risurrezione dei corpi poiché affermavano che queste dottrine non erano contenute nel libro della Legge. Viva era pertanto la discussione con i farisei. «I sadducei chiesero a rabbi Gamaliele (verso il 90 d.C.) come si possa provare che il Santo, sia Egli benedetto, dà nuova vita ai morti. Egli rispose loro: “Dalla Legge, dai profeti e dagli agiografi”. Ma essi non lo ammisero» (cit. in GLNT).
 
Basandosi sulla Legge (Dt 25,5), essi pongono un caso che, se ci fosse risurrezione, creerebbe una situazione assurda. Inoltre essi pensano che se Dio ha dato questa norma per far sopravvivere quell’uomo nella sua discendenza, questo vuol dire che non c’è risurrezione. Quale necessità c’è infatti di farlo sopravvivere se egli risorgerà?

IL CASO DEI SETTE FRATELLI
Nel ragionamento i sadducei forzano il modo d’interpretare la Legge che era proprio dei farisei. I farisei infatti abbondano nella casistica, cioè nel tentare di vedere tutte le possibili applicazioni della Legge nella vita quotidiana e di dare risposte adeguate. Da qui si comprende come per loro siano importanti le sentenze interpretative dei padri e dei maestri di Israele, che hanno in tal modo creato delle tradizioni.
 
Quindi se vogliamo vedere tutte le possibili applicazioni della legge del levirato (cioè sposare la vedova del fratello per assicurare una discendenza) (vedi Dt 25,5) vi è anche quella esposta dai sadducei che ridicolizza la situazione che si crea alla risurrezione tra questa donna e i suoi sette mariti. Di fronte a tale caso i farisei non saprebbero rispondere. 
 
Infatti per i farisei la risurrezione continua la vita attuale ma togliendo il dolore, la morte e le ingiustizie: «Sostanzialmente la speranza farisaica non è altro che la trasposizione nel futuro dei desideri non soddisfatti in questa vita. Quando Maometto descrisse ai suoi fedeli l’aldilà con colori vivaci, egli ebbe, nella speranza giudaica il migliore modello che potesse desiderare» (Karl Heinrich Rengstorf, teologo tedesco evangelico del 900 ).
 
Per questo i sadducei affermavano l’esistenza solo di questo mondo in cui si dovevano realizzare tutte le promesse fatte ai padri.

NELLA VITA NUOVA LE RELAZIONI SONO TRASFIGURATE
Il Signore Gesù dichiara che il matrimonio, fondato su questa creazione (cfr. Gn 1,28), fa parte integrante dell’uomo finché vive in questo mondo. Esso cessa col cessare di questa creazione e di questo mondo. 
 
Dicendo coloro che saranno giudicati degni afferma che la risurrezione è dono di Dio ed è sua grazia, quindi appartiene al mistero di Dio e alla sua iniziativa. L’uomo non può negarla (come facevano i sadducei) e neppure immaginarla (come tentavano i farisei) senza cadere nella stoltezza (cfr. 1Cor 15,35-44).
 
In questa nuova realtà cessano le nozze. Gesù stesso, come vergine, è per tutti loro la presenza dell’altro mondo che tra poco manifesterà la sua potenza con la sua risurrezione. D’ora in poi nella Chiesa si manifesterà il carisma della verginità consacrata come segno del Regno dei cieli già presente in questo mondo (Mt 19,10-12).
 
Per i cristiani coniugati si apre una nuova visione circa il loro matrimonio. Come tutta la vita è trasfigurata così anche ogni rapporto è trasfigurato e vissuto secondo la realtà del secolo futuro, anche nel matrimonio. Esso è in relazione con il grande mistero del rapporto di Gesù con la sua Chiesa: Gesù è lo Sposo e la Chiesa è la Sposa. Nulla cessa, tutto è trasformato.

SIAMO FIGLI DELLA RESURREZIONE
Infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli. Il riferimento agli angeli sottolinea la loro esistenza, negata dai sadducei (cfr. At 23,8) o per lo meno non valorizzata da loro. I risorti sono uguali agli angeli perché, come loro, vedono il volto del Padre (cfr. Mt 18,10) e quindi non possono più morire perché portano l’immagine dell’uomo celeste (cfr. 1Cor 15,49).
 
Come gli angeli sono ammessi alla visione di Dio in forza del sangue del Signore, con cui sono asperse anche le realtà celesti (cfr. Ebr 9,23) e quindi sono in stretto rapporto con il mistero di Cristo, che essi servono e adorano, così in noi deve compiersi perfettamente tutto quello che riguarda Gesù. In quanto membra del suo corpo, noi siamo ammessi alla presenza di Dio solo dopo che si è realizzato in noi il mistero della pasqua del Signore. Questo ci rende uguali agli angeli nella capacità di vedere Dio, di adorarlo e di essere inondati della sua luce. 
 
Ed, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio. È per il fatto della risurrezione che siamo pienamente figli di Dio. È l’Eucaristia che lievita il germe del Battesimo fino al compimento di questo mistero. Se non ci fosse la risurrezione non sarebbe vero che noi siamo figli di Dio. 
 
Citando questo passo della Legge mosaica, il Signore rivela ciò che Mosè indica in modo implicito. Se Dio è il Vivente, è vivo pure colui che Egli unisce a sé e in tal modo è affermato che il soffio vitale dell’uomo, donato da Dio, non si spegne con la morte.

IL NOSTRO DIO È DIO DEI VIVENTI E NON DEI MORTI
Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi e come tale non vuole la morte, ma la vita e non vivifica solo una parte dell’uomo ma tutto l’uomo e tutti gli uomini, perché tutti vivono per lui come dice l’apostolo: Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore (Rm 14,7-8). Strettissimo è il nostro rapporto con Dio ed è un vincolo che la morte non può spezzare. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi (Rm 14,7-9). In virtù del mistero pasquale di Cristo è data a noi la grazia della risurrezione.

 




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