Lectio divina della XXIX Domenica del Tempo ordinario - Anno C
Inserita il: 18/10/2019
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Luca 18, 1-8
“Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola
sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai”
[Gesù] 1Diceva [ai suoi discepoli] loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 4Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
CONTESTO E TESTO
Il tema della liturgia di questa domenica è la preghiera perseverante e fiduciosa, raffigurata, nella prima lettura, da Mosè orante, e nel vangelo dalla vedova povera.
Nel testo dell’Esodo ci viene narrato l’episodio della preghiera di Mosè durante la lotta contro Amalek, che, secondo i Padri, rappresenta il tentatore. Mosè prega insistentemente per Giosuè, perché abbia da Dio la grazia della vittoria nella lotta contro il nemico, e la sua preghiera viene fatta con le mani alzate al cielo. E’ una preghiera prolungata perché la lotta è dura e lunga. Per aiutare la preghiera di Mosè intervengono Aronne e Cur, che sostengono le sue braccia alzate in preghiera verso il cielo. E la sua preghiera viene esaudita.
Anche il Salmo responsoriale esprime lo stesso tema invitandoci alla fiducia: “Il mio aiuto viene dal Signore”. Il salmo 121 è il secondo della raccolta dei cosiddetti Salmi del pellegrino o Canti delle ascensioni che il pio israelita prega nel corso del suo viaggio verso Gerusalemme. Un viaggio che esprime il cammino dell’uomo verso Dio. Sono 15 salmi, dal 120 al 134, un percorso orante che descrive l’itinerario verso la città santa, metafora dell’itinerario del credente verso la Gerusalemme celeste.
Ogni salmo segna una tappa del viaggio, che sono le tappe del nostro dialogo ininterrotto con il Signore vivente. Sono 15 perché quindici erano i gradini che separavano la zona esterna dal cortile più interno del tempio, per questo sono chiamati, nel contesto liturgico, anche salmi graduali.
Quel pellegrino che cammina e prega siamo noi. Dinanzi a noi spesso abbiamo buio, ostacoli, quasi una catena di montagne che devono essere affrontate, scalate e superate, ma sappiamo che oltre ad esse c’è la Gerusalemme celeste. Mentre avanziamo ci rendiamo conto che siamo stretti in un abbraccio, l’abbraccio del Signore vivente: una presenza invisibile, indefinibile, indescrivibile, eppure una presenza forte e incisiva, che ci abbraccia e ci difende dai pericoli.
5Il Signore è il tuo custode, il Signore è la tua ombra e sta alla tua destra.6Di giorno non ti colpirà il sole, né la luna di notte. Il Signore è il tuo custode e non lascerà che ti accada qualcosa di male. Gli ostacoli, i pesi, i drammi della vita sono strumenti di cui il Signore si serve per dimostrare che, con pazienza e fedeltà, ci accompagna fedelmente. Egli è così il Signore della nostra vita, della storia personale di ciascuno e della storia di tutta l’umanità. È il Pastore! Il Signore è come ombra che ti copre, interviene nei singoli momenti e stabilisce un rapporto di vigilanza: tu puoi anche dormire ma il Signore veglia su di te.
Nella seconda lettura, continuiamo ad ascoltare Paolo che scrive al discepolo Timoteo, che definisce “figlio nella fede” e gli raccomanda di rimanere saldo negli insegnamenti ricevuti, specialmente nell’ascolto delle Scritture sante. L’ascolto della Parola è una delle forme più belle della preghiera, perché in questo modo entriamo in relazione con il Signore che ci parla e ci invita al dialogo con Lui.
Allora si impara a camminare, si impara a pregare, si impara a fidarsi, si impara ad affrontare con pazienza e determinazione ogni ostacolo, come ci ricorda la parabola raccontata dall’evangelista Luca.
È NECESSARIO PREGARE SEMPRE
Il testo del Vangelo riprende il tema della preghiera attraverso una parabola. Gesù introduce la parabola della vedova e del giudice iniquo con una affermazione che occorre prendere in seria considerazione per poter decifrare meglio il senso della parabola. “[Gesù] diceva loro [ai suoi discepoli] una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai”, gli interlocutori di Gesù sono i discepoli, cioè quelli che ormai hanno scelto di seguirlo come Maestro di vita e come lui voglio rimanere in un dialogo costante con Dio Padre.
Seguire Gesù comporta una relazione incessante con il Padre, una preghiera continua che non conosce stanchezze e Luca, sia nel suo Vangelo che negli Atti degli Apostoli, privilegia questo tema della preghiera moltissime volte, presentando lo stesso Gesù in preghiera: Gesù prega mentre viene battezzato da Giovanni (3, 21), si ritira spesso in luoghi deserti e prega (5, 16); prega prima di scegliere i dodici tra la moltitudine dei discepoli (6, 12); prega prima di chiedere ai discepoli che cosa pensano di lui (9, 18); prega prima di insegnare il Padre nostro (11, 1). Si può dire che l’opera di Luca è tutta animata da questa preghiera incessante e ininterrotta di Gesù e dei suoi discepoli.
Paolo riprende l’insegnamento di Gesù, riportato da Luca e lo trasmette nelle sue lettere, oltre che a farne egli stesso esperienza. È interessante notare che in diversi tratti delle sue lettere usa proprio l’avverbio: %u03ACδιαλε%u03AFπτως, (adialeiptos) “senza interruzione”, “incessantemente” con diverse modulazioni. In Rom 1, 9 afferma che si ricorda di loro (sottinteso nella preghiera) incessantemente; e nella prima lettera ai Tessalonicesi per due volte esprime la stessa esigenza: “Proprio per questo anche noi rendiamo continuamente grazie a Dio perché, ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti” (2, 13). Qui la preghiera è declinata come ringraziamento, cioè come un prolungamento dell’Eucaristia. Al capitolo 5, esorta i discepoli a pregare incessantemente ed usa lo stesso avverbio: “16Siate sempre lieti, 17pregate ininterrottamente, 18in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi”. Nella lettera a Timoteo, Paolo declina la sua preghiera come memoria incessante, davanti al Signore: “Rendo grazie a Dio che io servo, come i miei antenati, con coscienza pura, ricordandomi di te nelle mie preghiere sempre, notte e giorno” (2Tm 1, 3).
Serafino di Sarov , un grande santo, monaco della Chiesa d’Oriente, pregava ininterrottamente anche quando si dedicava ad altre cose, il suo cuore rimaneva orientato al Padre e, nel pregare il Padre nostro, spesso sostituiva le parole “Venga il tuo Regno”, con venga il tuo Spirito santo, perché è solo lo Spirito che prega in noi e grida: Abbà, Padre! Nell’Apocalisse lo Spirito e la Sposa, cioè lo Spirito e la Chiesa gridano: “Vieni, Signore Gesù!” (Ap 22,20) ed con questa invocazione che si conclude tutta la Bibbia.
LA PREGHIERA A VOLTE DIVENTA UN GRIDO
Il Vangelo di questa domenica si conclude con due forti interrogativi che Gesù pone ai discepoli per sottolineare la risposta di Dio alla nostra incessante preghiera. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente”. Mentre evidenzia la perseveranza nella preghiera parla di un grido incessante che sale a Dio notte e giorno. Il Padre non farà aspettare a lungo i suoi eletti. Questo grido della preghiera lo troviamo sulla bocca del padre del ragazzo indemoniato quando, descrivendo la situazione del figlio e dopo che Gesù ha rimproverato la mancanza di fede dei suoi discepoli, dice ad alta voce, come un grido: “Signore, credo, ma aiuta la mia poca fede” (Mc 9, 24).
Gesù sulla croce prega con il Salmo 22 “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” e la sua preghiera si conclude con un grido: ha gridato prima di consegnare al Padre il suo spirito e quel grido, ormai inarticolato, così si conclude: «Ecco l’opera del Signore!» (v 32). All’inizio era un grido di dolore, mentre in verità è un grido di vittoria: l’opera del Signore è questo Figlio che muore per la nostra salvezza. Infatti nei versetti precedenti del salmo 22, Gesù in croce aveva pregato così: “…perché egli non ha disprezzato né disdegnato l’afflizione del povero, il proprio volto non gli ha nascosto ma ha ascoltato il suo grido di aiuto” (v 25). L’ultima domanda di Gesù interpella la nostra fede e l’impegno di trasmetterla alle nuove generazioni. “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Sembra ancora una volta un grido, ma è anche una provocazione per noi.
“L’oggetto della preghiera passa in secondo piano; ciò che importa prima di tutto è la relazione con il Padre. Ecco cosa fa la preghiera: trasforma il desiderio e lo modella secondo la volontà di Dio, qualunque essa sia, perché chi prega aspira prima di tutto all’unione con Dio, che è Amore misericordioso. La parabola del giudice e della vedova termina con una domanda: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (v. 8). E con questa domanda siamo tutti messi in guardia: non dobbiamo desistere dalla preghiera anche se non è corrisposta. E’ la preghiera che conserva la fede, senza di essa la fede vacilla! Chiediamo al Signore una fede che si fa preghiera incessante, perseverante, come quella della vedova della parabola, una fede che si nutre del desiderio della sua venuta. E nella preghiera sperimentiamo la compassione di Dio, che come un Padre viene incontro ai suoi figli pieno di amore misericordioso.”
(Papa Francesco, catechesi all’udienza di mercoledì 25 maggio 2016).