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Lectio divina della XXVI Domenica del Tempo ordinario - Anno C

Inserita il: 27/09/2019

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Lc 16, 19-31
“C’era un uomo ricco e un uomo povero di nome Lazzaro”
19In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 25Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 27E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. 29Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. 30E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. 31Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

CONTESTO E TESTO
La liturgia della Parola di questa domenica 26ª continua il tema del corretto uso della ricchezza trattato la domenica precedente, ma con l’accento di Gesù sulle gravi omissioni commesse nei confronti delle persone più povere. Il profeta Amos denuncia gli abusi delle classi dominanti nei confronti dei più deboli e l’apostolo Paolo, scrivendo a Timoteo lo invita a tendere alla giustizia, alla fede, alla carità, alla pazienza e alla mitezza.
 
L’evangelista Luca riporta la parabola raccontata da Gesù, del ricco che banchetta lautamente e che la tradizione ha chiamato il “ricco Epulone”, nel senso che ostenta la ricchezza e disprezza gli altri, e del povero Lazzaro che sta seduto alla porta e chiedere un pezzo di pane.

L’USO EGOISTICO DELLA RICCHEZZA
Il racconto: c’era un uomo ricco ... fa un tutt’uno con il discorso della Legge e dei Profeti, vi è infatti un riferimento esplicito (hanno Mosè e i Profeti), questo significa che Gesù sta ora rivelando attraverso questa parabola/racconto come, anche la Legge e i Profeti siano finalizzati alla vita eterna, al banchetto di Abramo, dal quale si può essere esclusi (13,28: e voi cacciati fuori). 
 
C’era un uomo ricco, è lo stesso inizio dell’altra parabola (16,1-8): là l’amministratore infedele usa a proprio vantaggio le ricchezze del padrone, qui il ricco non sa usare i beni che ha, in rapporto alla vita futura e, sciupandoli nel tempo presente, si trova sprovvisto di tutto in quello futuro. Indossava vestiti di porpora e di bisso: veste di lana purpurea ed una sottoveste di finissimo lino egiziano, e ogni giorno si dava a lauti banchetti, come dice il libro di Giobbe: “Cantano al suono di timpani e di cetre, si divertono al suono delle zampogne” (21,12-15).

Un povero, di nome Lazzaro (nome significa Dio aiuta): l’evangelista nel riportarne il nome rivela l’amore di Dio che si ricorda dei suoi poveri e comunica loro la ricchezza del suo nome. Stava perché paralizzato, alla sua porta, coperto di piaghe, questa è la veste del povero che si contrappone alla porpora e al lino del ricco.
 
Bramoso di sfamarsi, come è detto del figlio prodigo: bramava sfamarsi (15,16) con quello che cadeva dalla tavola del ricco, che cioè veniva gettato al suolo da quanti sedevano alla mensa del ricco, sono i pezzi di focaccia che, usati per intingere nelle ciotole e per detergere le mani, si buttavano poi sotto la tavola. Ma erano i cani, tanto egli era impotente e misero, che venivano a leccare le sue piaghe e quindi a rendere più forte il suo dolore. Dinanzi all’uomo che gode di tutti i vantaggi della ricchezza, l’infelice rappresenta la povertà in tutto il suo orrore, niente di più.

ARRIVA IL TEMPO DEL RENDICONTO DELLA PROPRIA VITA
Il povero fu portato dagli angeli, mentre prima era circondato dai cani, accanto ad (alla lettera: nel seno di) Abramo: è il posto d’onore nel banchetto celeste alla destra del capofamiglia Abramo (cfr. Gv 13,23). Questo posto d’onore, supremo fine della speranza, significa che Lazzaro sta al vertice di tutti i giusti. Vi è pure un altro significato che anche i Padri sottolineano: l’intimità con Abramo e quindi la partecipazione alla sua benedizione; il seno di Abramo è «come un’insenatura di quiete e un luogo recondito di santità» (sant’Ambrogio), è chiamato seno perché significa intimità (sant’Agostino), è quindi il luogo del ristoro dei morti nell’aldilà. Fu sepolto, come è scritto: il sepolcro sarà loro casa per sempre (Sal 49,12).

Il ricco ormai agli inferi vide, come era stato visto da Lazzaro in vita e questo aumentava i suoi tormenti. Padre Abramo, il ricco si appella alla sua discendenza da Abramo (cfr. 3,8: Non cominciate a dire in voi stessi: Abbiamo Abramo per padre...). E invoca: manda Lazzaro, ma con quelle stesse cose con cui uno pecca, con esse poi è castigato (cfr. Sap 11,6).

Figlio, Abramo lo chiama figlio perché non cessa di riconoscerlo come tale. Tuttavia è scritto: Non tutti i discendenti di Abramo sono figli di Abramo (Rm 9,7). La legge del contrappasso non si basa sul semplice fatto che l’uno è ricco e l’altro è povero ma sul fatto che il ricco non è stato misericordioso verso il povero, mentre Lazzaro era nella sua povertà senza ribellione. Ma la ragione più profonda è la scelta divina dei poveri, che i ricchi devono servire, pena la loro stessa condanna. Il grande abisso, «è il grande e immutabile decreto di Dio, che simile a un abisso, proibisce che gli uni si mescolino agli altri» (Eutimio).

ORMAI È TROPPO TARDI 
Poiché la prima domanda non è ascoltata, il ricco, divenuto «maestro quando non lo può essere» (Ambrogio), supplica Abramo che Lazzaro sia inviato alla sua casa paterna, ma ormai non ha più tempo né di chiedere né di ottenere. 

Hanno Mosè e i Profeti, sono le divine Scritture che assolvono questo compito d’insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia (2Tm 3,16).

No, padre Abramo, il ricco dichiara in tal modo l’inefficacia della Parola per la conversione come è stato per lui e pensa lo sia per i suoi fratelli e chiede un segno più forte: qualcuno dai morti che si presenti a loro.

Abramo sottolinea invece che la risurrezione dai morti è un segno credibile solo se si accolgono le Scritture. La parabola termina con questo annuncio pasquale verso cui converge tutta la Scrittura. Gesù per scaldare il cuore ai discepoli sulla via di Emmaus riprende l’insegnamento cominciando da Mosè e da tutti i Profeti (cfr. 24,27).
 
Il discepolo che Gesù amava, nel momento in cui vede il sepolcro vuoto, crede comprendendo le Scritture, che testimoniano che Egli doveva risuscitare dai morti (Gv 20,8ss). Per chi non accoglie la testimonianza di Mosè e dei Profeti sulla Risurrezione, le Scritture perdono la loro potenza salvifica e diventano o una rete che imbriglia con i precetti umani o è rifiutata come inutile.

La parabola è narrata in una sezione del vangelo di Luca in cui il tema di fondo è la Legge, quindi sottolinea il rapporto tra l’Evangelo e la Legge unita ai Profeti. Il cuore della Legge è l’amore di Dio e l’amore del prossimo, con un particolare riferimento al povero. La parabola rivela il disprezzo e l’indifferenza del ricco di fronte alla Parola di Dio e all’evidente povertà posta incessantemente davanti ai suoi occhi. Per il fatto che il povero si chiama Lazzaro, vi è un rovesciamento delle categorie umane. Gli uomini ricordano i nomi dei potenti e dei grandi, Dio ricorda il nome dei piccoli e dei poveri. La stessa barriera che il ricco aveva creato in terra la ritrova rovesciata nell’al di là. La forza della Legge e dei Profeti sta nel convergere verso un’unica testimonianza, la Risurrezione dai morti del Cristo. Da questa scaturisce tutta la forza delle sante Scritture.

IN ASCOLTO DEI PADRI NELLA FEDE
«È significativo che il Signore concluda con questa storia parabolica. Mi limito al v. 25 quello che risponde Abramo al ricco nell’inferno. I beni e i mali. I beni del ricco sono quelli che fanno la delizia dell’esistenza presente e i mali sono quelli che fanno nell’esistenza presente la sofferenza. Questo è il ricordo che Abramo propone al ricco. Il ricco trova che questa proposta di Abramo è decisiva per cui non propone più la richiesta di una goccia d’acqua. Si determina di pregare per i suoi, ma chiede una cosa impossibile. C’è già chi li ammonisce. Ostacolato da tutti i beni e senza speranza è la condizione di colui che ha avuto tutti i beni, invece è meravigliosa la condizione di colui che ha avuto tutti i mali. Anche noi dobbiamo decidere».
(d. G. Dossetti, appunti di omelia, Monteveglio, 13.9.1985)

 




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