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Lectio divina della XIX Domenica del Tempo ordinario - Anno C

Inserita il: 09/08/2019

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Lc 12, 32-48
 
“Non temere piccolo gregge, 
perché al Padre è piaciuto dare a voi il Regno”

33Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. 34Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. 35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa.40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». 41Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 42Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? 43Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. 44Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. 47Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

CONTESTO E TESTO
Il tema della liturgia della Parola di questa domenica è la fede, virtù fondamentale per il discepolo de Signore, che insieme alla speranza e alla carità esprime l’identità del popolo cristiano. Nella prima lettura tratta dal libro della Sapienza si evidenzia l’abbandono fiducioso del popolo di Israele alle promesse di Dio, anche nei momenti difficili della loro storia. Il salmo 32/33 canta proprio la beatitudine del popolo che Dio ha scelto come sua eredità. La seconda lettura, tratta dalla lettera agli Ebrei afferma che la fede è il fondamento della nostra speranza e la prova di ciò che non si vede e si fa memoria di Abramo e Sara e del loro cammino di fede nelle promesse di Dio, che diede loro una discendenza in Isacco.
 
Il brano del vangelo di Luca riporta le parola di Gesù che invita i suoi discepoli a non temere perché al Padre celeste è piaciuto dare a loro il Regno e li chiama con tenerezza: “piccolo gregge”. Di conseguenza dice di non affidarsi al possesso dei beni di questo mondo, perché abbiamo un tesoro in cielo. Infatti due sono gli atteggiamenti che proprio non si addicono ai discepoli di Gesù: la sedentarietà e la pigrizia. Se vi è una tentazione per le nostre comunità, oggi, è l’incapacità di sentirsi in cammino. È la pretesa di aver già raggiunto la meta, senza lasciarsi scomodare dalla novità ultima che ancora ci attende.

NON TEMERE, PICCOLO GREGGE
Il gruppo dei discepoli è chiamato piccolo gregge: sono i piccoli ai quali vengono rivelati i misteri del Regno, perché così è piaciuto al Padre (10,21) come pure è piaciuto di dare loro il suo Regno. Dare il Regno significa rendere partecipi i discepoli di Gesù della stessa regalità divina.
 
Di fronte a questo bene ultimo, che il Padre ha riservato ai suoi eletti, vi è il comando di dare i propri averi in elemosina. L’elemosina, già raccomandata contro l’avarizia dei farisei e degli scribi (11,41), diventa il modo per acquistarsi il Regno e per farsi borse che non invecchiano e un tesoro sicuro nei cieli. Il proverbio del v. 34 sintetizza l’insegnamento del Maestro e rivela ancora come nel cuore abita ogni scelta: chi ha il cuore nuovo cerca le cose di lassù e pensa alle cose di lassù e non a quelle della terra (cfr. Col 3,1-4). Là dove Gesù regna là si desidera che il regno di Dio venga; più lo Spirito Santo penetra nel cuore dei discepoli più questi bramano le ricchezze proprie del Regno. E non quelle mondane.
 
Gesù invita i suoi, innanzitutto, a non aver paura. E la ragione della fiducia sta nel fatto che, ciò che conta, ciò che essenziale è già in possesso di questo "piccolo gregge". Il Regno di Dio, che è Gesù stesso, è stato loro donato dal Padre. In secondo luogo, perché questo dono non sia rifiutato, è necessario liberarsi da tutto ciò che impedisce di fidarsi di Dio: "Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma" (v. 33). Il terzo invito di Gesù è a saper bene orientare il proprio cuore, a saper scoprire qual è il tesoro per il quale vale la pena spendere la propria esistenza (v. 34).

SIATE PRONTI! SIATE VIGILANTI!
L’esortazione iniziale è giustificata dalla parabola che segue: vv. 36-39. Siate pronti con le vesti strette ai fianchi, come quando fu celebrata la Pasqua in Egitto (cfr. Es 12, 11: ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti). Attendere il Signore vuol dire prepararsi a celebrare la Pasqua eterna come Egli ha detto: «Non la mangerò più finché non sia adempiuta nel Regno di Dio» (22,16). E le lampade accese perché è notte e la Parola di Dio sono la lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori (2Pt 1,19). Vi è un richiamo a Mt 25,1-13: la parabola delle dieci vergini.
 
Nella parabola si sottolinea la venuta improvvisa del Padrone cui corrisponde il fatto che i servi subito gli aprono (36). Il termine subito è al centro della parabola e ne consegue che il Signore si fa loro servo come fece durante l’ultima Cena (cfr. Gv 13,1ss; cfr. Lc 22,27: Io sto in mezzo a voi come colui che serve).
 
In questo sta l’essere beati, nel partecipare a questa cena nella quale lo stesso Signore serve.
 
Tuttavia questa beatitudine del grande Giorno della venuta è già anticipata nell’attesa, anche se questa si prolunga. Infatti attendere il Signore più che scoraggiare, sollecita la speranza che scaturisce dall’amore: più si attende con amore più cresce l’amore e più grande è la gioia. Paolo dirà per sostenere la speranza: “La notte ormai è avanzata, il giorno è vicino” (Rm 13,12)
 
L’improvvisa venuta del Figlio dell’Uomo è espressa con la parabola del ladro di notte che ritroviamo pure in Paolo (cfr. 1Ts 5,2). Nell’ora che non immaginate, come infatti Gerusalemme fu colta di sorpresa quando fu visitata (19,42ss) così anche voi, sarete sorpresi se non vigilate, per questo ci comanda di tenerci sempre pronti. 

QUESTA DOMANDA È PER NOI O PER TUTTI?
Questa domanda di Pietro introduce l’ultima parte del discorso che sottolinea la particolare responsabilità che hanno gli apostoli e quindi i capi della comunità in questo periodo di attesa del Signore. L’amministratore infatti è distinto dal resto della servitù non però in rapporto al padrone, del quale resta un servo, come gli altri.
 
La risposta viene data dal Signore, cioè dal Cristo risorto presente nella Chiesa. L’amministratore fidato e prudente. Così è chiamato, chi ha il servizio dell’autorità nella Chiesa, seguendo la tradizione d’Israele (cfr. Ebr 3,5: Mosè fu fedele in tutta la sua casa come servitore), chiunque esercita un ufficio. Fidato in rapporto al padrone; prudente in rapporto all’amministrazione. Il suo compito è di dare alla servitù la razione di cibo a tempo debito. La sua saggezza consiste nel fatto che compie questo servizio attendendo il padrone; anche se non sa quando arriverà, tuttavia è certo che arriverà. Quindi è beato se il suo signore lo trova a fare così (43).
 
La beatitudine tocca quindi tutti i servi che attendono la venuta del Signore (37.38) e l’amministratore che serve tutti: i servi sono serviti dal Signore, l’amministratore è preposto a tutti i suoi averi (vedi parabola dei talenti Mt 25,21.23) cioè partecipa della signoria di Cristo, come è scritto: “Il vincitore lo farò sedere presso di me sul mio trono” (Ap 3,21).
 
Può essere purtroppo che l’amministratore anziché essere fedele e saggio trasformi la sua autorità in uno strumento di terrore e di dissolutezza. La prolungata assenza del Signore, anziché sollecitare e intensificare l’attesa, diventa motivo per sfruttare la propria posizione: sia percuotendo i servi e le serve (vedi i cattivi pastori in Ez 34,3-6) sia consumando i beni del proprio Signore mangiando, bevendo e ubriacandosi (cfr. Is 28, 7-13).
 
Il padrone di quel servo arriverà. L’improvvisa e inaspettata venuta del Signore mette fine a questa situazione che si chiude con una grave punizione dell’amministratore. Lo punirà severamente, alla lettera: lo squarterà, sottolinea cioè una terribile punizione significata da quanto segue: e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli, cioè non fedeli alla loro missione. 
 
Il discorso si conclude con un giudizio che distingue il servo, che conosce la volontà del padrone, (vedi 11, 52: la chiave della scienza) da colui che non la conosce. Vi è quindi una distinzione tra coloro che hanno delle responsabilità cui il padrone affidando i suoi beni ha dato delle precise istruzioni e coloro che, sottoposti, non sono stati ammaestrati perché gli amministratori non erano fedeli. Questo discorso si trova pure in Ez 33,1-9: il profeta è posto come sentinella. Il testo sembra alludere al fatto che purtroppo con gli amministratori si perdono anche di quelli della servitù. E questa perdizione è eterna, infatti «la parola molte o poche battiture non si riferisce all’estensione o al finire di uno spazio di tempo, bensì alla diversità del castigo» (S. Basilio).
 
Nella sentenza finale si distingue colui al quale fu dato molto da colui al quale fu affidato molto. Quanto è dato appartiene a chi riceve, quanto è affidato appartiene al proprietario. Il Signore fa quindi dei doni per i quali chiede come essi sono stati utilizzati (vedi parabola delle mine, 19,11-27) e affida a delle persone, della cui vita chiede conto ancora di più che dei doni.
 
Il ritorno del Signore non è episodio qualsiasi della nostra esistenza, ma è un fatto centrale: è lì che si fonda la nostra speranza, che si gioca la nostra salvezza, la vita eterna. Ecco perché è necessario tenere gli occhi aperti e il cuore desto nel discernimento. 

ASCOLTIAMO I PADRI
Agostino, in un sermone, così si rivolge alla piccola comunità affidata alle sue cure che, dopo i fervori degli inizi, iniziava a sedersi, troppo imbrigliata negli affanni terreni e spaventata dall’assedio dei barbari alle porte della città: "Tutta la vita dei veri cristiani è tenere in alto il cuore: non dei cristiani solo di nome, ma dei cristiani di fatto e in verità, tutta la vita è avere in alto il cuore. Che cosa è avere in alto il cuore? È la speranza in Dio, non in te; tu, infatti sei in basso, Dio è in alto. Se tu metti in te la speranza, il cuore è verso il basso, non verso l’alto. Perciò, quando avete udito dal sacerdote: "In alto il cuore", voi risponderete: "Lo teniamo rivolto al Signore". Procurate di rispondere una cosa vera, poiché rispondete in rapporto alle azioni di Dio. Sia così come voi dite. Non accada che la lingua risuoni, e la coscienza dica il contrario!".

 




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