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Lectio divina della XVI Domenica del Tempo ordinario – Anno C

Inserita il: 19/07/2019

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Lc 10, 38-42
 
“Maria ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta”
 
38In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 39Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

 
 
 
CONTESTO E TESTO
Il tema della liturgia di questa domenica XVI dell’anno C, è l’ospitalità, una attitudine tipica dei discepoli del Signore, ma anche di tutte le persone di Dio, anche nel Primo Testamento. Infatti la prima lettura ci presenta l’esperienza di Abramo, che nella piena calura del giorno, mentre siede all’ingresso della sua tenda, accoglie i tre viandanti e addirittura li prega di fermarsi da lui come una grazia per la sua vita. I tre viandanti sono degli stranieri per lui, ma accoglierli significa accogliere il Signore stesso, che lo ha chiamato e ha fatto di lui un migrante e un viandante. 
 
Nel salmo 14 il tema dell’ospitalità e dell’accoglienza diventa preghiera: è l’ospite del Signore che prega “Signore chi abiterà nella tua Tenda?”, “Chi ha mani innocenti e cuore puro”. Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo si rivolge ai cristiani di Colossi confidando la gioia che prova nel sopportare le sue sofferenze, proprio per portare a compimento i patimenti di Cristo, nella sua carne. Proprio perché la Chiesa è corpo di Cristo, tutti noi non solo possiamo accogliere Cristo Gesù, ma essere consapevoli che siamo suo Corpo.
 
Ma accogliere Cristo, essere sue membra, vuol dire saper armonizzare nella propria vita il servizio e la gratuità della contemplazione. Gesù rimprovera Marta non perché è a servizio, ma perché assolutizza il fare sino al punto di voler distogliere Maria dall’aver privilegiato l’Ospite sedendosi ai suoi piedi in ascolto, nella gratuità dell’amore. 

GESÙ OSPITE NELLA CASA DI MARTA E MARIA
Ospitò. Il verbo indica propriamente l’accogliere nella propria casa, sotto il proprio tetto e ricorre anche per indicare l’accoglienza di Zaccheo (18,6) e quella di Raab nell’AT (cfr. Gc 2,25). 
Seduta ai piedi del Signore. È l’atteggiamento tipico del discepolo nell’atto di ascoltare: cfr. anche 8,35 e At 22,3. È singolare che una donna stia seduta ai piedi di un rabbi: con Gesù questo accade (cfr. Gv 4,27: si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna).

I MOLTI SERVIZI DISTOLGONO DALL’ESSENZIALE
Era distolta. Il verbo indica un’occupazione per qualcosa che distrae da qualcosa d’altro a cui pure si vorrebbe tendere. Tale termine ricorre più volte nel Qohelet (Qo 1,13; 3,10) per indicare appunto l’occupazione vana, cioè quell’attività dell’uomo che non resta per sempre perché inesorabilmente distrutta dalle contraddizioni insite nel tempo (cfr. Qo 3: c’è un tempo per … e un tempo per …). 
 
La differenza essenziale tra l’attività di Marta e di Maria è che la prima, pur essendo necessaria, appartiene alla sfera dell’autoaffermazione, mentre la seconda appartiene alla sfera del Cristo, al primato dell’Amore e quindi dello Spirito. La separazione che il Cristo opera tra le due attività è già stata introdotta e preparata dal Qohelet nell’A.T. il Qohelet infatti indica l’inconsistenza e la vanità delle cose fatte sotto il sole e Gesù, presupponendo e accettando tale discorso, indica nel Regno e nella sua ricerca, la parte buona che non è tolta. 
 
C’è come una graduatoria, non un’antitesi, tra l’azione e la contemplazione, proprio perché l’attenzione è anzitutto rivolta all’Ospite, e Marta invitando Maria ad aiutarla, non si rende conto che lascerebbe Gesù da solo. 
 
Nella tradizione spirituale della Chiesa si cercherà di fare sintesi tra le due dimensioni: “Contemplativi nell’azione” come insegna S. Ignazio di Loyola. Il quale con questo non intende eliminare il tempo della preghiera vera e propria, ma rendere l’azione apostolica frutto della contemplazione. Infatti senza la gratuità della contemplazione anche l’azione stanca ed esaurisce le motivazioni dell’Amore.
 
Non è quindi condannata l’attività di Marta ma lo spirito che la muove, come subito il Signore dice. Ti affanni. L’apostolo Paolo insegna ai Filippesi di non preoccuparsi di nulla, ma in tutto, mediante la preghiera e la supplica con il rendimento di grazie, le vostre richieste siano rese note davanti a Dio (Fil 4,6). Affannarsi è agitarsi interiormente, perdere la calma di fronte alle cose da farsi, perché lo sguardo non è più rivolto a Dio: così fa Marta che è tutta occupata dal suo molteplice servizio e non ascolta la Parola. Il problema non sta in quello che Marta fa, ma nel come lo fa: infatti se anche «si arresta» non lo fa per ascoltare il Signore, ma perché questi intervenga a suo favore. 
 
Per evitare questo pericolo, il Signore ci esorta a non preoccuparci neppure per il cibo: “Poi disse ai discepoli: «Per questo io vi dico: Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito”. (Lc 12,22-23). Ti agiti. L’agitazione è la conseguenza dell’affanno e della preoccupazione.

UNA SOLA COSA È NECESSARIA
La traduzione del versetto è controversa. Basilio così interpreta: Il Signore non ha certo lodato Marta che si distraeva per il molto servizio, ma anzi dice: Ti preoccupi e ti agiti per molte cose; ma c’è bisogno di poco, anzi di una cosa sola; di poco, cioè, quanto ai preparativi, di una cosa sola quanto allo scopo: la relazione con il Signore.
 
Basilio dà in questo caso un’esegesi adattata di Lc 10,41ss. che, nel contesto, ha una portata di ben altro ordine e ampiezza e vuole contrapporre l’inutile agitazione per le molte cose esterne all’unica cosa che importa, che è l’ascolto della Parola del Signore. Del resto, non ignoriamo quale sia l’alimento che il Signore stesso apprestò ai cinquemila (cfr Mt 14,21). 
 
E la preghiera di Giacobbe a Dio, è questa: “Se mi dai pane da mangiare e un abito per vestirmi” (Gn 28,20) e non: se mi dai delizie e lusso. La preghiera è per avere l’essenziale per vivere e non il superfluo. E che dice il sapientissimo Salomone: “Ricchezza e indigenza non darmi, ma disponi per me il necessario e quanto è sufficiente, affinché, se sazio, io non divenga menzognero e dica: “Chi mi vede?” e se nell’indigenza, io non rubi e giuri per il nome del mio Dio“(Pr 30,8ss.)». 
 
Questa interpretazione si avvicina molto alla prospettiva tipica del Qoelet: “Va’, mangia con gioia il tuo pane, bevi il tuo vino con cuore lieto, perché Dio ha già gradito le tue opere. In ogni tempo le tue vesti siano bianche e il profumo non manchi sul tuo capo”. (cfr. Qo 9,7-8). Il punto di discernimento infatti non è quindi esterno ma interiore: è nel cuore. Nel testo di Luca vediamo che il cuore di Maria è nella Parola, quello di Marta è nella preoccupazione, nell’affanno e nel turbamento.
 
Il principio fecondo dell’azione è la Parola viva ed efficace di Dio accolta nell’ascolto della fede. Chi parte da essa agisce compiendo azioni «sacramentali» cioè colme del mistero di Dio. Chi invece parte dall’azione non esce dalla vanità della vita.
 
Chi agisce in virtù della Parola corre ed è sollecito, chi invece fa dell’azione il principio del suo agire è ancora chiuso negli schemi razionali del suo pensiero e rischia di essere incredulo e di misurare tutto secondo i metri umani.
La contrapposizione non è quindi tra azione e contemplazione ma è in ciò che si sceglie come principio e fondamento del proprio agire.

 




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