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Lectio divina della XV Domenica del Tempo ordinario – Anno C

Inserita il: 12/07/2019

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Lc 10, 25-37
 
«Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»

25In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». 29 Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?»  30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

CONTESTO E TESTO
Il tema della liturgia di questa domenica, comune alle tre letture e al salmo, è certamente il comandamento dell’Amore, precetto che, come ci fa pregare il salmo 18, fa gioire il cuore. La prima lettura tratta dal Deuteronomio ci invita a convertirci al Signore con tutto il cuore e con tutta l’anima, proprio per poter vivere nell’Amore, l’Amore che è l’identità stessa di Dio. Come ci ricorda l’apostolo Giovanni: “Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”. (1Gv 4,8).
La seconda lettura tratta dalla lettera ai Colossesi ci invita a contemplare Cristo, il Figlio di Dio, che è immagine del Dio invisibile e sul Suo volto possiamo vedere che cosa comporta amare come Dio ci ha amati: donare la vita per i fratelli dimenticando se stessi, aver anzitutto cura del prossimo perché possa vivere e lodare Dio. 
 
Infatti il testo del Vangelo ci presenta Cristo Gesù nelle sembianze del Buon Samaritano, che si china su chi è ferito e bisognoso di cure. Gesù si china su di noi feriti e morenti a causa del peccato e, come il Buon Pastore, ci carica sulle sue spalle per portarci alla salvezza e alla vita. Gesù il Figlio di Dio, essendo al centro della creazione, come principio di esistenza e di redenzione, è posto dal Padre come la riconciliazione e l’armonia dell’universo. 
 
Coloro che obbediscono al Cristo si armonizzano all’azione dello Spirito Santo che, distruggendo, in forza del sacrificio di Cristo, ogni principio disgregante immesso dal satana, porta a ricapitolare tutte le cose in Cristo. I cristiani, che vivono in conformità all’Evangelo, si adeguano a questo processo di redenzione. Per questo essi abbandonano ogni forma di violenza e di odio perché la forza di attuazione è solo l’amore. Anche nella forma del pensiero o della parola: mai violenza e odio, in nessun modo!

LA DOMANDA FONDAMENTALE
Questo testo di Luca, nella sua veste letteraria, si presenta come il dialogo tipico del rabbi interrogato da un discepolo. In questo caso il discepolo è un dottore della legge che si rivolge a Gesù per tentarlo, per metterlo alla prova. Pone la domanda fondamentale per vedere se Gesù conosce la Legge. (v. 25). Gesù risponde invitandolo alla ricerca (v. 26) e il dottore risponde con esattezza (v. 27). Gesù conclude il dialogo (v. 28). Ma il dottore della legge lo riprende, volendo giustificare se stesso. (v. 29). Gesù risponde con la parabola (vv. 30 35) e facendo la domanda conclusiva (36). Il dottore della legge con la risposta che dà «evita di pronunciare l’odiata parola «samaritano» ma ha capito bene l’insegnamento di Gesù, anche se possiamo intuire che non è disposto a viverlo (v.37a). Segue il congedo definitivo di Gesù (v. 37b).
 
Mettere alla prova. Tale verbo indica in Lc (cfr. anche 11,16) l’opposizione dei nemici di Gesù, che si manifesta attraverso le domande subdole che gli vengono poste. Lo stesso verbo è utilizzato anche per le tentazioni, che Gesù subisce nel deserto da parte del satana (4,2). La vita del Signore è stata quindi contrassegnata dalla tentazione, sia da parte degli avversari che del satana stesso, ma egli è rimasto libero, senza peccato (cf Ebr 4,15). Non dobbiamo perciò temere di fronte al satana, perché Gesù conosce la tentazione e ci soccorrerà nelle nostre tentazioni (cf. Ebr 2,18). 
 
Gesù risponde al dottore della legge con una ulteriore domanda: Il Signore trovandosi di fronte alla tentazione del dottore della legge, non risponde direttamente, ma invita il suo interlocutore a leggere egli stesso la Legge. E l’esperto della legge cita due passi, uno tratto dal Deuteronomio 6,5; passo che tutti gli israeliti recitano ogni giorno, ed uno del Levitico (19,18), riunendoli in un unico comandamento: il comandamento fondamentale di amare Dio e il prossimo. Questa unificazione fa comprendere come per giungere a Dio è necessario passare per il prossimo. Amare il prossimo autenticamente significa però riconoscere, anche se talvolta in modo inconsapevole, di essere stati amati per prima da Dio.
 
Il dottore della legge, dopo aver provato Gesù su quale fosse il comandamento più importante da seguire, gli pone un’altra domanda imbarazzante, che faceva discutere tutti i maestri del tempo: chi è il mio prossimo? Tra i rabbi di Israele era opinione diffusa che il prossimo da amare (cf. Lv 19,18) fosse essenzialmente il connazionale o correligionario, non lo straniero. Talvolta i componenti dei gruppi religiosi in Israele tentavano di escludere dal concetto di prossimo anche coloro che non facevano parte della loro setta: così i farisei non ritenevano loro prossimo un non fariseo. Era persino un pensiero diffuso che l’avversario e il nemico non solo non fossero il prossimo, ma che fosse persino giusto odiarli.
 
Già Gesù, in Lc 6,27-35, aveva condannato questa interpretazione limitativa di Lv 19,18 secondo cui l’amore è dovuto al prossimo, mentre il nemico di deve odiare. Gesù al contrario afferma la necessità di amare anche il nemico e in tal modo allarga il concetto di prossimo a definire tutti gli uomini (cf. Mt 5,44). Nella parabola Gesù va ancora oltre, poiché ribalta la domanda e capovolge la definizione di prossimo; non preoccuparti tanto di chi sia il tuo prossimo, è la risposta di Gesù nella parabola, poiché ti si rivelerà quotidianamente nella vita concreta, comportati invece come samaritano, cioè sii tu prossimo agli altri. Molto provocatorio per il rabbi.

IL PROSSIMO SECONDO GESÙ
La parabola, con cui Gesù risponde alla domanda del dottore della legge, prende spunto da un fatto che doveva essere sicuramente reale: la strada infatti che scende da Gerusalemme a Gerico si snoda per 27 Km attraverso il deserto di Giuda. È quindi possibile che tale strada fosse infestata dai briganti e che Gesù narrando tale fatto richiamasse alla mente degli ascoltatori episodi ben conosciuti, accaduti anche di recente. 
 
La presenza di un sacerdote e di un levita lungo la strada (vv. 31.32) è anch’essa una possibilità molto reale: famiglie sacerdotali e levitiche abitavano presso Gerico e nei periodi di servizio al tempio si spostavano a Gerusalemme percorrendo quella strada. Gesù descrive nel sacerdote e nel levita, personaggi che per la loro carica godevano di molto prestigio tra gli israeliti, ma che di fronte al povero sulla strada si voltano dall’altra parte, sono codardi e senza cuore. 
 
La cosa irritante è che Gesù contrappone al sacerdote e al levita ed al loro comportamento, un samaritano, una figura disprezzata. (vv. 33ss). I samaritani sono considerati dagli israeliti degli eretici meritevoli del più profondo disprezzo: infatti tra le due parti regnava un grande odio. 
 
Il contrasto tra il sacerdote e un levita da una parte, e il samaritano dall’altra deve essere suonato agli orecchi degli uditori di Gesù, giudei osservanti, molto provocatorio, risposta che induce a comprendere cosa Gesù intende per “prossimo” e che cosa è l’amore. Gesù vuole in tal modo sottolineare l’assolutezza del comandamento dell’amore. 
 
Anche il samaritano della parabola doveva essere un personaggio reale: molto probabilmente si tratta di un commerciante che compiva spesso quella strada, tanto da conoscere gli alberghi che su di essa erano posti. 

PROSSIMO È COLUI HA AVUTO COMPASSIONE
La traduzione in italiano del termine greco compassione è un po’ limitativa: esso indica infatti la modalità positiva ma limitata, del comportamento tra gli uomini. Ma il vero significato è molto più forte: la traduzione sarebbe quindi bontà, fedeltà: indica cioè quel sentimento che Dio stesso prova per noi suoi figli e che vorrebbe fosse presente nei rapporti fra gli noi suoi figli.
 
Nel nostro passo tale bontà “è fatta” dal Samaritano: indica la prova completa dell’amore verso il prossimo. È questo proprio dal personaggio da cui meno si può aspettarlo. Una provocazione che disturba gli esperti della legge: così appare chiaro che essi sono considerati esperti ma non hanno capito lo spirito della legge del Signore. Anzi la loro interpretazione ne ha stravolto il significato.
 
È Gesù che dà pieno significato alla legge antica: “Amerai il Signore Dio tuo” è Dio tuo perché tu sei suo popolo: è Dio, è tuo. “Amerai con tutto il tuo cuore” (Dt 6, 5; Lv 18,5) cioè il tuo amore ha origine là dove ha origine il tuo cuore e non ci deve essere nulla nel tuo cuore che non ami Dio e nulla essere all’origine del tuo cuore che non sia l’Amore di Dio cioè il suo stesso Spirito che è in te: l’Amore, dal quale riceve vita il tuo stesso amare. In tutto il tuo cuore è stato effuso lo Spirito che grida in te: Abbà, Padre. Più lo Spirito pervade il nostro cuore e da tutto il nostro cuore proclama: Abbà, Padre, più noi diveniamo figli nel Figlio Unigenito e Primogenito.
 
Il compendio e l’anima del comandamento sono espressi dall’agire stesso di Dio, sono una rivelazione della Sua identità, del suo progetto di salvezza. Dio Amore si è rivelato pienamente nella vicenda di Gesù, il Figlio fatto uomo, buon Samaritano dell’umanità.
 



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